Integrazione: politiche in trasfomazione in Italia ed Europa

Il tema dell’integrazione è da sempre al centro delle politiche dell’Unione Europea la cui attenzione, dapprima rivolta ai cittadini comunitari, si è nel corso degli anni spostata sui cittadini dei paesi terzi e sui crescenti flussi migratori che li vedono nuovi e indiscussi protagonisti della crescita demografica e della trasformazione delle società europee.

(Da Programma Integra )
Politiche di integrazione e integrazione della politiche nei Paesi dell’Unione Europea
Accoglienza e integrazione, comunità e individuo: questi i pilastri sui quali fondare politiche capaci di sostenere i cittadini stranieri nei loro processi di inclusione sociale e di proporre modelli di buone prassi da condividere e attuare su tutto il territorio dell’Unione Europea.
L’integrazione non può prescindere dal concetto di equità e di uguali opportunità per tutti, sia in termini civili che sotto l’aspetto socio-economico. La continua contrattazione unilaterale dei diritti riconosciuti, l’incertezza del proprio status, le restrizioni alla libertà personale in termini di accesso al lavoro o unità familiare, la disparità di trattamento con i cittadini autoctoni, sono fattori che minano alla base i processi di integrazione, costringendo il migrante in una perenne condizione di precarietà e indefinitezza che lo porta a sentirsi mero ospite e non un cittadino a pieno titolo che nel nuovo paese può insediarsi stabilmente e riprogettare la propria vita e quella della sua famiglia.
I fenomeni di marginalità sociale, ghettizzazione, esclusione sociale sono in crescita in tutta Europa e incidono pericolosamente sulla pacifica convivenza all’interno delle nostre città, degenerando in episodi sempre più diffusi di violenza, devianza e razzismo.
Il processo di integrazione è un delicato bilanciamento tra le capacità personali e i bisogni del singolo individuo e le esigenze e specificità della comunità di accoglienza: su questo terreno, continuamente in evoluzione, lo Stato deve indicare gli scenari e le politiche all’interno dei quali muoversi, prevedere un quadro normativo chiaro che contemperi i diritti e doveri individuali con quelli collettivi, rimuovere gli ostacoli che impediscono o minacciano l’effettività del principio di equità, favorire i processi di trasformazione sociale e civile anche alla luce delle esperienze degli altri paesi e delle buone pratiche attuate.
In Europa, al gennaio 2006 nei 25 Stati membri i cittadini extracomunitari erano 18,5 milioni, 27 milioni se si includono tutti i residenti con cittadinanza di un altro paese (quindi anche comunitari). In Romania e Bulgaria, entrate nell’UE soltanto un anno dopo, si stimano poco più di 25mila presenze a paese.
Nell’Unione Europea è la Germania il maggior polo attrattivo per gli stranieri, con 7,2 milioni di immigrati pari al 9% della popolazione, seguita dalla Spagna con 4,8 milioni, dall’Italia con 3.690mila e dalla Gran Bretagna con 3 milioni di immigrati regolari.
“Il Terzo Rapporto annuale su Migrazione e Integrazione”della Commissione Europea, presentato l’11 settembre 2007 a Bruxelles, analizza le politiche adottate dai singoli Stati UE in tema di ammissione e integrazione di cittadini di paesi terzi, evidenziando quelle azioni dirette al rafforzamento delle misure di inclusione sociale. La Commissione sottolinea come sia possibile realizzare processi di integrazione effettivi e duraturi solo con il concorso di una rosa di fattori quali le migrazioni legali, l’accesso al mercato del lavoro, il dialogo interreligioso, l’adozione di politiche antidiscriminatorie e l’accesso all’istruzione. Nell’Unione Europea si sta progressivamente uniformando ormai da anni la normativa in materia di immigrazione e asilo attraverso un processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali che ha portato all’adozione di regolamenti e direttive comunitari sui temi del ricongiungimento familiare, dei soggiornanti di lungo periodo, degli standard minimi per l’accoglienza dei richiedenti asilo, per la concessione della protezione temporanea, le direttive “procedure” e “qualifiche” anch’esse in materia di asilo, il Sistema Uniforme di Visti, le norme comuni in materia di rimpatrio di extracomunitari irregolari. Un approccio comune nei paesi europei permetterà, secondo quanto auspicato dal rapporto, lo sviluppo di efficaci politiche di integrazione sull’intero territorio dell’Unione.A dimostrazione di come il tema dell’integrazione dei cittadini dei paesi terzi sia in primo piano nell’agenda delle Istituzione comunitarie, lo scorso mese di ottobre a Bruxelles è stato presentato uno studio del Migrant Integration Policy Index (MIPEX), commissionato dalla Commissione Europea e condotto su 28 paesi – i 25 Stati membri dell’UE (ad esclusione dei paesi neocomunitari, Romania e Bulgaria) unitamente a Norvegia, Svizzera e Canada.La ricerca, condotta dal British Council con 25 partners di 18 differenti paesi – università, istituti di ricerca, associazioni non governative, fondazioni – ha preso in esame le politiche adottate dai 28 paesi in materia di integrazione dei cittadini stranieri regolarmente presenti sui territori nazionali. Il MIPEX si focalizza su sei macroaree – accesso al mercato del lavoro, ricongiungimento familiare, accesso alla cittadinanza, partecipazione alla vita politica, adozione di politiche anti-discriminatorie e soggiorno di lungo periodo – e ricorre a 140 indicatori per esaminare le politiche e le legislazioni nei 28 Paesi e mettere a confronto le effettive opportunità fornite ai migranti in termini di partecipazione e di integrazione nella società di accoglienza.Partendo dall’analisi e dal monitoraggio delle realtà nazionali attraverso la raccolta di dati obiettivi, accessibili e comparabili e l’assegnazione di punteggi che portano il paese a posizionarsi in un range che va dalle best practices (le pratiche migliori) alle worst practices, obiettivo dello studio è il rafforzamento in Europa delle politiche di integrazione rivolte ai migranti.In linea generale, dallo studio emerge che i paesi europei si collocano in una posizione intermedia rispetto alle suddette sei macroaree prese nel loro complesso, mentre se si considerano i singoli ambiti spiccano notevoli differenze da paese a paese. Solo la Svezia si discosta dagli altri Stati per aver adottato politiche favorevoli alla promozione dell’integrazione (pur avendo raggiunto solo nella macroarea dell’accesso al lavoro best practices per ogni indicatore preso in esame), seguita dal Portogallo, con un distacco di nove punti e dal Belgio. Il paese scandinavo con i suoi 472mila immigrati, pari al 5,2% della popolazione, è il paese che meglio coniuga accoglienza ed integrazione. Le regole di accesso sono semplici, i tempi per le pratiche brevi e viene garantito alloggio e sussidi sociali durante il periodo di in occupazione del cittadino straniero.I paesi del Nord Europa, del Mediterraneo Occidentale (Italia, Spagna e Portogallo), Benelux, Regno Unito e Canada hanno adottato politiche parzialmente favorevoli ai processi di inclusione sociale, seguiti da Lettonia, Cipro, Grecia, Slovacchia ed Austria.Tra i paesi che occupano i posti più bassi della classifica, gli Stati entrati nell’Unione Europea nel 2004, in particolare i Paesi Baltici, quelli dell’Est ma anche i paesi dell’Europa Centrale e la Danimarca. Nei Paesi dell’Europa dell’Est le disposizioni anti-discriminazione sono le misure più forti adottate per la promozione dell’integrazione a dispetto delle misure in materia di partecipazione politica, carenti come nei paesi dell’Europa Centrale.Infine se per i 25 Paesi comunitari i punteggi ottenuti non si discostano di molto quando si prendono in considerazione il ricongiungimento familiare e il soggiorno di lungo periodo, nel caso di accesso alla cittadinanza, accesso al mercato del lavoro e partecipazione alla vita politica i paesi dell’Europa dell’Est restano indietro.
Complessivamente lo studio rileva come l’attenzione degli Stati UE si sia maggiormente concentrata sull’implementazione delle politiche volte all’unità familiare, all’accesso la mercato del lavoro e ai soggiornanti di lungo periodo, lasciando in secondo piano quelle connesse all’acquisizione della cittadinanza e alla partecipazione alla vita politica.
Accesso al mercato del lavoroNei 25 Stati UE si registra una situazione molto differente a seconda dei paesi: mentre quelli nordici (Svezia e Finlandia) e alcuni Paesi mediterranei (Italia, Spagna, Portogallo) raggiungono buoni risultati in termini di accessibilità, riconoscimento ai migranti dei medesimi diritti dei lavoratori nazionali e di misure di tutela e sicurezza, nell’Europa Centrale ed Orientale ci si scontra in alcuni casi con politiche fortemente restrittive, in termini di riconoscimento dei titoli e delle qualifiche professionali acquisiti nei paesi di origine, di accesso alla formazione professionale o alle borse di studio, del diritto a soggiornare regolarmente per un certo periodo di tempo anche a seguito della perdita del lavoro per la ricerca di una nuova occupazione. In Germania ad esempio forti limitazioni sono previste per gli lavoratori extracomunitari che vogliano iniziare un’attività autonoma e l’accesso a tutti i settori produttivi aperti ai cittadini comunitari è possibile solo dopo 5 anni di regolare lavoro.
1a – 2a – 3a posizione: Svezia, Spagna, Portogallo
27esima e 28esima posizione: Polonia, Lettonia
Italia: 4a posizione
Regno Unito: 12a posizione
Francia: 16a posizione
Germania: 16a posizione
Ricongiungimento familiareDalla ricerca rilevano notevoli differenze tra gli Stati in particolare rispetto al tempo di permanenza regolare richiesto prima di poter accedere alla procedura del ricongiungimento e ai membri della famiglia che ne possono beneficiare (in Francia, ad esempio, occorre attendere 18 mesi di residenza legale). Di norma non viene richiesto alcuna conoscenza della lingua né somministrati test per verificare il grado di integrazione di colui che richiede il ricongiungimento ma come requisiti di procedibilità vengono richiesti un lavoro o comunque un certo reddito.
In linea generale nei paesi UE i familiari giunti con il ricongiungimento hanno riconosciute le medesime forme di tutela e i diritti del loro congiunto – in particolare in termini di accesso al lavoro e all’istruzione – e nel caso di rigetto della loro istanza o di ritiro del permesso di soggiorno, sono comunemente previste garanzie e il diritto ad impugnare la decisione.
1a – 2a – 3a posizione: Svezia, Portogallo, Italia
27esima e 28esima posizione: Austria, Cipro
Regno Unito e Germania: 12a posizione
Francia: 21a posizione
Soggiornanti di lungo periodoRispetto a quest’area di analisi, gli Stati che presentano politiche e normative nazionali più favorevoli per i migranti sono i Paesi Nordici (inclusa la Danimarca), quelli del Mediterraneo occidentale e il Regno Unito. Se in molti paesi il migrante deve risiedere regolarmente nel paese per almeno 5 anni prima di poter richiedere il soggiorno per lungo periodo – che di norma va rinnovato dopo ulteriori 5 anni – in alcuni Paesi occorre aspettare fino a 8 anni, ci si può allontanare dal territorio nazionale solo per brevi periodo e si deve superare un test scritto di lingua e sulla cultura del paese di residenza. Pur se la procedura di richiesta è comunemente di breve durata, la mancanza di un lavoro o di un certo reddito preclude al cittadino straniero il diritto di divenire soggiornate di lungo periodo. Infine in alcuni paesi l’aver ottenuto il riconoscimento di tale status non garantisce automaticamente la sua durata a tempo indeterminato, in quanto in caso di perdita di lavoro o di pensionamento, anche dopo molti anni di lavoro, il migrante perde il diritto a soggiornare nel paese.
Lo straniero titolare di carta CE rilasciato in un Paese UE può entrare in un altro Stato membro senza visto indipendentemente dalla sua nazionalità, può svolgere attività lavorativa o studiare ma non trattenersi fuori dell’Unione per un periodo superiore ad un anno, salvo vedersi revocare il permesso (ai sensi direttiva 109/2003) .
1a – 2a – 3a posizione: Svezia, Belgio, Norvegia
27esima e 28esima posizione: Cipro, Lituania, Irlanda
Italia: 5 a posizione
Regno Unito: 5a posizione
Francia: 24 a posizione
Germania: 19 a posizione
Partecipazione politicaIn linea generale, nei Paesi dell’Europa Occidentale sono presenti le politiche più favorevoli adottate in questo ambito, a dispetto di quelli dell’area centrale e orientale e della Grecia.
Forti divergenze in particolare rispetto al diritto al voto per i cittadini stranieri (sia a livello amministrativo che nazionale) che contraddistingue i paesi Nordici (Svezia, Finlandia, Norvegia) e l’Irlanda da altri, come l’Italia, dove non è previsto o alle libertà politiche in senso più ampio, come il diritto a costituire un’associazione o un movimento e a partecipare a partiti politici.
Mancano infine in molte città con una presenza significativa di migranti, appositi organi consultivi di confronto e programmazione di politiche con e a favore di questi nuovi cittadini (in Lituania, come in Grecia, Polonia, Ungheria e Slovacchia) .
1a – 2a – 3a posizione: Svezia, Norvegia, Lussemburgo
27esima e 28esima posizione: Lituania, Lettonia
Italia: 10 a posizione
Regno Unito: 15 a posizione
Francia: 13 a posizione
Germania: 7a posizione
Accesso alla cittadinanzaI diritti riconosciuti ai cittadini stranieri in termini di cittadinanza e naturalizzazione differiscono sensibilmente da paese a paese e nella maggior parte degli Stati sono vigenti politiche fortemente restrittive soprattutto per i migranti di prima generazione. In particolare la mancanza di un’uniformità a livello comunitario delle normative nazionali in questo ambito porta a notevoli divergenze in ordine alle procedure, con la previsione in alcuni paesi di test anche molto costosi di lingua, storia e cultura del paese ospitante, alla durata del soggiorno prima di poter avviare l’iter, all’obbligatorietà del riconoscimento da parte dello Stato in presenza dei requisiti prescritti o alla mera concessione. Significative differenze si registrano anche rispetto al riconoscimento della cittadinanza per nascita ai figli di cittadini stranieri (ius soli), all’acquisto e al mantenimento della doppia cittadinanza. Infine in alcuni paesi la concessione della naturalizzazione non è definitiva ma lo status può essere revocato in numerosi casi, trasformando di fatto la persona in un apolide.
1a – 2a – 3a posizione: Svezia, Belgio, Portogallo
27esima e 28esima posizione: Lituania, Grecia, Austria
Italia: 22 a posizione
Regno Unito: 5 a posizione
Francia: 7 a posizione
Germania: 18 a posizione
Politiche anti-discriminatorieI paesi esaminati divergono sensibilmente in materia di politiche antidiscriminatorie, pur se tuttavia previsioni legali e meccanismi di contrasto e sanzione sono presenti in tutti i 25 Stati UE.
1a – 2a – 3a posizione: Svezia, Portogallo, Ungheria
27esima e 28esima posizione: Repubblica Ceca ed Estonia
Italia: 11 a posizione
Regno Unito e Francia: 5 a posizione
Germania: 17 a posizione

L’Italia e l’integrazione: nuovi scenari e battute di arrestoIn Italia i cittadini stranieri presenti regolarmente sono circa 3.690.000, secondo i dati forniti dal XVII° Dossier Statistico Immigrazione Caritas – Migrantes. Tali numeri si discostano sensibilmente dai dati Istat che parlano di una popolazione che sfiora appena i 3 milioni di abitanti stranieri in quanto non prendono in considerazione coloro che pur regolari non sono iscritti ai registri anagrafici dei Comuni dove risiedono, di norma perché privi regolare situazioni alloggiative (spesso infatti i cittadini stranieri si vedono rifiutare dai proprietari di casa la sottoscrizione di contratti di locazione ai sensi di legge).
Il 5° rapporto CNEL sugli indici di integrazione in Italia, pubblicato lo scorso aprile, rileva come negli ultimi anni i processi di integrazione siano gradualmente migliorati nelle regioni del nord dove si registra un alto livello di inserimento sociale e lavorativo, in particolare in Trentino Alto Adige, Veneto e la Lombardia. Al contrario, discendendo la penisola si assiste ad un peggioramento della situazione soprattutto in quei territori, come la Sicilia e la Puglia maggiormente coinvolti dagli arrivi via mare di migranti e rifugiati.
Nella classifica generale del Mipex 2006 l’Italia si colloca al settimo posto e viene definita “un giovane paese in fatto di immigrazione, con flussi d’entrata in costante aumento”. Secondo recenti stime, nonostante il precedente Governo di centro-destra avesse promesso un drastico contenimento dei flussi di immigrazione adottando misure più restrittive – come l’introduzione delle legge Bossi – Fini (L. 140/2002), durante quelli stessi anni si sono registrati i più alti livelli di immigrazione regolare nella storia italiana, soprattutto in fatto di lavoro, ricongiungimento familiare e asilo. Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento superiore al 25% delle aziende possedute da cittadini extracomunitari, è stato creato un ufficio nazionale antidiscriminazione razziale (UNAR) e si sta lavorando ad una riforma del Testo Unico sull’Immigrazione e ad una nuova legge sulla cittadinanza.Se si esaminano le singole macroaree evidenziate nello studio del MIPEX, L’Italia occupa i vertici delle classifica per quanto riguarda l’ accesso al mercato del lavoro, ricongiungimento familiare e soggiornanti di lungo periodo ma scende drasticamente quando si parla di accesso alla cittadinanza, partecipazione alla vita politica e attuazione di politiche antidiscriminatorie.Mercato del LavoroPer le politiche connesse al mercato del lavoro l’Italia si colloca al quarto posto per le limitate misure di integrazione previste in materia dall’ordinamento. Si posiziona invece al secondo posto (dopo la Svezia a pari merito con Spagna, Portogallo e Svizzera) rispetto all’accesso al lavoro: in Italia infatti i lavoratori extracomunitari regolari godono degli stessi diritti riconosciuti ai quelli italiani, tranne per l’accesso a specifiche occupazioni, ai precluse ai cittadini stranieri.
Secondo la ricerca MIPEX, pur se l’Italia ha avviato programmi nei paesi di origine dai quali partono i più consistenti flussi migratori, restano tuttavia ancora limitate a livello nazionale le misure adottate per l’integrazione nel settore del lavoro.
I lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti arrivano in Italia sulla base di flussi programmati annualmente con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri che fissa le quote di ingresso per lavoro subordinato, autonomo, stagionale, studio.
Ricongiungimento familiareRispetto a questo ambito, l’Italia si attesta al terzo posto, a seguito delle importanti riforme legislative introdotte all’inizio del 2007. Con l’attuazione del Decreto Legislativo 5/2007 di recepimento della direttiva comunitaria 86/2003 in tema di ricongiungimento familiare, sono stati apportati significativi miglioramenti alla precedente disciplina riconoscendo il diritto a favore di chi abbia un permesso di soggiorno di durata almeno annuale, dimostri di avere un determinato reddito e di vivere in un alloggio idoneo ad ospitare la persona o la famiglia con la quale si intende riunirsi (requisiti non richiesti se l’istante ha ottenuto lo status di rifugiato). La legge prevede che il ricongiungimento possa essere richiesto a favore di determinati soggetti, il coniuge, i figli minori, i figli maggiorenni se permanentemente non possono provvedere al proprio sostentamento per gravi motivi di salute e i genitori ultrassessantacinquenni che non hanno un adeguato sostegno familiare nel paese di origine.
Tra gli aspetti critici rilevati dalla ricerca MIPEX, la mancata previsione tra i soggetti beneficiari del partner registrato (istituto attualmente ancora non previsto dall’ordinamento italiano), di un figlio sposato e adulto, anche se con seri problemi di salute, dei titolari di protezione umanitaria.
Tra gli aspetti positivi rilevati, la possibilità di vedere respinta l’istanza di ricongiungimento solo in caso di comportamento fraudolento da parte del richiedente o di pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.
Soggiornanti di lungo periodoQuinto posto all’Italia anche per i diritti connessi a chi soggiorna da tempo sul territorio nazionale. Anche in questo caso un decreto legislativo di recente adozione (Dlgs. 3/2007) ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 109/2003 relativa ai soggiornanti di lungo periodo.
La vecchia carta di soggiorno è stata sostituita dal “permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo” che può essere richiesto dopo cinque anni di presenza legale in Italia (non più 6 anni come previsto precedentemente) e rilasciato entro 90 giorno.
Nel computo dei cinque anni vengono ricompresi anche eventuali periodi di studio e quelli della pendenza della decisione in merito al riconoscimento dell’asilo. Inoltre rispetto ad altri paesi UE, l’Italia riconosce allo straniero il diritto a recarsi fuori dal paese anche per periodi fino a sei mesi e non prevede alcun test di integrazione per la concessione del permesso per soggiorno di lungo periodo.
Lo straniero titolare di carta CE rilasciato da un altro Paese UE può entrare in Italia senza visto indipendentemente dalla sua nazionalità e stipulare contratti di lavoro senza aver precedentemente sottoscritto il contratto di soggiorno.
Politiche antidiscriminatorie e Partecipazione PoliticaL’Italia è rispettivamente undicesima e decima in queste due aree.
Sebbene nel dicembre 2005 sia nato l’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale ancora molti sono gli sforzi da fare per l’attuazione di buone pratiche, in particolare rispetto a specifiche procedure da attivare, all’assistenza legale delle vittime di episodi razziali e discriminatori, alle sanzioni. Per quanto riguarda la partecipazione politica, gli stranieri sono esclusi dal voto sia nelle elezioni politiche che amministrative, tuttavia possono partecipare a partiti politici e costituire proprie associazioni ed eleggere loro rappresentanti all’interno di organi consultivi a livello locale, regionale e nazionale. La prima volta che sono andati alle urne è stato per eleggere i consiglieri comunali aggiunti di nazionalità straniera a seguito di specifica proposta da parte delle amministrazioni locali.
CittadinanzaPer l’accesso alla cittadinanza l’Italia precipita al 22° posto a causa di una normativa in materia particolarmente restrittiva e che si fonda, ancora totalmente, sul principio dello ius sanguinis.
L’acquisizione della cittadinanza italiana da parte di uno straniero (ad eccezione di alcuni casi come per matrimonio, per nascita al compimento dei 18 anni) è una mera concessione da parte dello Stato, che non prevede alcuna obbligo di riconoscimento. Attualmente i cittadini extracomunitari possono richiedere di essere naturalizzati trascorsi almeno 10 anni di regolare ed ininterrotta residenza mentre per i cittadini comunitari, gli apolidi e i rifugiati i tempi sono dimezzati. I figli di cittadini stranieri nati in Italia devono vivere nel paese ininterrottamente fino al compimento della maggiore età prima di poter ricevere la cittadinanza italiana.
E’ all’esame parlamentare il disegno di riforma della legge 91/1992 volto a introdurre alcune importanti modifiche in particolare con l’introduzione dello ius soli che, in presenza di alcuni condizioni connesse alla regolarità della residenza dei genitori, permetterebbe al cittadino straniero che nasce in Italia di acquisirne automaticamente la cittadinanza. Tra gli aspetti critici segnalati dal MIPEX rispetto alla riforma, la possibile introduzione di testi di lingua e cultura in aggiunta ai già previsti requisiti di reddito, mancata pericolosità sociale. Infine alcuni dati sulla percezione diffusa degli stranieri in Italia. Secondo quanto emerso dalla ricerca MIPEX, tre italiani su quattro ritengono che le discriminazioni su base etnica siano largamente diffuse nel paese e oltre la metà dichiara che sono peggiorate negli ultimi anni in particolare nel mondo del lavoro e della formazione.
Quasi due persone su tre ritengono che debbano essere adottate misure in proposito ma solo uno su quattro è a conoscenza che già esistono norme antidiscriminatorie per settore del lavoro.
Infine circa la metà della popolazione italiana, il più alto dato dopo Malta e la Grecia rispetto ai 28 paesi presi in esame, ritiene che il cittadino straniero disoccupato o senza lavoro fisso non debba più avere diritto a rimanere in Italia e pertanto debba essere espulso.
La normativa italiana sull’immigrazione prevede espressamente misure volte all’integrazione e alla promozione dello scambio interculturale, definisce il concetto di discriminazione, elenca misure di integrazione e inclusione sociale, con una particolare attenzione per i minori e l’unità familiare. “L’integrazione deve essere vissuta come assimilazione non come contaminazione altrimenti sarebbe come la torre di babele, ognuno con le proprie scuole ed i propri quartieri”, ha dichiarato recentemente il Ministro dell’Interno Giuliano Amato.Il Commissario Europeo per la Libertà, la Sicurezza e la Giustizia, Franco Frattini, ha dichiarato all’indomani della presentazione del “Terzo rapporto su Migrazione e Integrazione” che “ è possibile realizzare il pieno potenziale dell’immigrazione solo se diamo agli immigrati l’opportunità di integrarsi nella società e nell’economia del Paese ospitante”.Il recente decreto legge su misure urgenti per la sicurezza e l’ampliamento della facoltà dei Prefetti di espellere i cittadini comunitari ha generato non pochi allarmismi e richiami dall’Europa temendo che un abuso di tale facoltà potesse portare a espulsioni di massa e atteggiamenti discriminatori e ci si allontanasse dall’obiettivo di promuovere il cammino dell’integrazione in Italia e in Europa.
I dati resi noti negli scorsi giorni dal Ministero dell’Interno riportano la situazione nel quadro del rispetto dei diritti e delle garanzie riconosciute, ridimensionando i proclami di espulsioni di massa indiscriminate che di fatto si sono limitate a 177 decreti di allontanamento di cittadini comunitari, con 41 provvedimenti a Bologna, 20 a Genova, 15 a Napoli e 11 adottati dalla Prefettura di Roma.




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