Alexandra Lupea, Cuneo. “Spero in un futuro di riconoscimento nazionale della nostra professione.”

18
Feb

Alexandra Lupea è una mediatrice interculturale di lingua rumena. In Italia venne per la prima volta nel 2006, per un servizio di volontariato estivo in collaborazione con la chiesa cattolica di rito greco di Romania. Quella esperienza fu ripetuta per le due estati seguenti. A conclusione dei suoi studi universitari, decise di trasferirsi in Italia.

Dall’anno 2010 lavora nell’ambito della migrazione e dell’intercultura come mediatrice interculturale nella Provincia di Cuneo.

Mediatoreinterculturale.it l’ha  intervistata per condividere la sua visione e la sua esperienza della vita e del mestiere della mediazione interculturale in modo particolare e sulla migrazione in modo più generale. Ha uno sguardo  molto lucido sulla bellezza del mestiere della mediazione, ma anche sulle tante difficoltà che ne impediscono lo sviluppo.

 

Mediatoreinterculturale.it: – Qual’è la definizione più “giusta” della professione del Mediatore Interculturale (Mic)?

Alexandra Lupea: – Le definizioni del Mic. sono molteplici. Penso che nessuna sia in qualche modo esaustiva proprio per la natura del lavoro del mediatore, perciò per me “la giusta definizione” deve essere sempre aggiornata ascoltando l’esperienza diretta dei mediatori interculturali. Questa professione sta evolvendo mostrando tante sfumature; la svolta che le manca è quella del riconoscimento e della presa di coscienza da parte delle politiche sociali, delle politiche del lavoro, etc. In alcuni ambiti sicuramente la presa di coscienza è già avvenuta, però con poche conseguenze concrete. Manca la chiarezza.

Riconosco giuste quelle definizioni che comprendono nel testo due aspetti che ritengo principali e che impongono una condizione sino a qua, non per chi vuole accedere alla formazione e al lavoro di mediazione interculturale; provenienza straniera della persona ed esperienza migratoria. Questi due aspetti (requisiti) devono essere coniugati con le competenze linguistiche e culturali della propria provenienza e quella italiana.

Tutto questo va abbinato ad un’adeguata formazione e aggiornamento continuo.

Mediatoreinterculturaler.it:- Quali sono le differenze tra queste tre professioni: educatore, assistente sociale, mediatore interculturale?

Alexandra Lupea:– La differenza è strutturale: il Mic. è innanzitutto una persona che arriva in Italia da altrove e ha affrontato un percorso migratorio. Dopo alcuni anni di residenza, questo cittadino vuole mettere a servizio degli altri, la propria esperienza, in seguito ad una breve e particolare formazione.

L’educatore o l’assistente sociale da questo punto di vista possono essere persone di origine straniera, ma non è una condizione obbligatoria, e nel caso dell’Italia la maggior parte di questi operatori sono ancora italiani.

La formazione è un altro aspetto che viene molto discusso. Il MIC si prepara presso le agenzie formative per un numero di 600 ore che si conclude con un attestato. Le situazioni di lavoro che il MIC va ad affrontare successivamente, richiederebbero una formazione più ampia sia come tempi che come sviluppo di competenze e sia come periodi di tirocinio.

Le differenze stanno anche nella parte operativa del lavoro di queste figure professionali. Spesso il MIC si trova in una equipe di lavoro costituito da educatori e assistenti sociali. Il mediatore aiuta a facilitare le comprensioni linguistiche e culturali, orienta e supporta lo svolgimento del percorso della persona immigrata che dovrà intraprendere ovunque essa si trovi (ospedale, forze di polizia, consultori, scuola o altro). Il MIC non si sostituisce a queste figure , ma rappresenta un rinforzo per sbrigare le pratiche e governare le situazioni in cui sono coinvolti i cittadini di provenienza straniera.

Mediatoreinterculturale.it: – Con i flussi migratori che sono cambiati e che sono ormai costituiti in prevalenza da richiedenti asilo, che ruolo assume il Mic?

Alexandra Lupea: – La protezione internazionale ha portato al centro di diversi contesti e situazioni l’importanza delle funzioni della mediazione interculturale. Così, il Mic si trova a coprire due ruoli: quello di operatore fisso nei centri di accoglienza o quello di mediatore che svolge attività di colloquio, accompagnamento, intermediazione linguistica e culturale sia per gli operatori che per i richiedenti asilo.

I colleghi dell’Africa Subsahariana e i colleghi arabofoni si sono trovati a gestire molte richieste in questo ambito. Le situazioni dell’accoglienza sono state affrontate da un atteggiamento di emergenza anche per via delle situazioni disperate che giungevano, e giungono ancora, attraverso i diversi canali. I Mic si sono adeguati seguendo corsi di formazione, ma anche stando a contatto con realtà che sono molteplici.

Servirebbe un quadro normativo che disciplinasse le posizioni nei centri, rendendole meno contraddittorie tra di loro, e sicuramente anche un adeguamento mirato nella formazione che viene proposta dalle agenzie territoriali che preparano i mediatori.

Il mediatoreinterculturale.it: – Quali sono i punti di forza e i punti di debolezza del MIC?

Alexandra Lupea:- La maggior parte dei mediatori sono già professionisti della loro storia lavorativa. Questo lo dimostrano in primis con il diploma o la laurea. Nell’arco degli anni, queste competenze formative hanno articolato competenze aggiunte dai corsi di formazioni svolti in Italia, con l’esperienza sul campo, con azioni e progetti spesso innovativi. La competenza linguistica è un altra risorsa aggiuntiva.

Oggi, le associazioni o i gruppi di animazione interculturale si stanno impegnando per lo sviluppo dei propri campi d’azione, basandosi su una fusione costruttiva e mirata delle competenze di cui dispongono.

Il punto di debolezza è il fatto  che le competenze del MIC vengono meno utilizzate nei servizi perché gli operatori valorizzano solo l’aspetto linguistico nella sfera della mediazione e meno quello culturale, organizzativo e progettuale.

Sta a noi mediatori interculturali, forse, il compito di farci conoscere, e farci valere come una risorsa da parte dei politici e dei tecnici nei settori di intervento.

Mediatoreinterculturale.it: – Quali sono le sue aspettative come MIC per il futuro?

Alexandra Lupea: – Credo che le aspettative siano quasi le stesse per tanti mediatori, per non dire tutti: avere un riconoscimento nazionale, un contratto serio, un potere contrattuale stabile e più chiarezza sia a livello formativo che quello  lavorativo.

Concretamente una delle aspettative è quella dell’inserimento nel piano di offerta formativa nelle scuole con ore di educazione interculturale.

Un’aspettativa personale è quella legata alla Comunità dei Mediatori.  Quella del resto che porta avanti l’Associazione A.M.M.I e quella di Spazio Mediazione e Intercultura di Cuneo e credo sia lo stesso nelle altre realtà d’Italia. E’ la speranza di vedere il mediatore come fonte di cambiamento mettendo in atto tutte le forze ed energie per cercare di far sentire la VOCE di questa professione rispettosa e dignitosa accanto alle altre professioni che contribuiscono a migliorare la quotidianità dei concittadini senza pregiudizi.




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