Comunicazione ufficiale A.M.M.I.

18
Feb

L’Associazione Multietnica dei Mediatori Interculturali (A.M.M.I.) condanna fermamente le considerazioni del sedicente mediatore interculturale riguardo lo stupro avvenuto a Rimini il 27 agosto scorso. Tali affermazioni feriscono profondamente il nostro credo e i nostri valori, prima come essere umani e poi come operatori interculturali.

L’A.M.M.I., nata dieci anni fa per promuovere la professionalità del mediatore interculturale, ritiene necessario fare alcune considerazioni in merito a questo caso.

Siccome da più parti è stato affermato che la persona sia un mediatore interculturale, ci sentiamo pienamente coinvolti. La faccenda non può che portare all’attenzione delle Istituzioni alcuni elementi importanti, legati al corretto impiego del dispositivo della mediazione interculturale. Questo conferma alcune problematiche evidenziate varie volte dalla nostra associazione in tutti questi anni.

Ad ogni istanza, l’A.M.M.I. ha ribadito la lentezza da parte delle istituzioni nel fornire risposte immediate per la formazione dei mediatori interculturali dalle nuove aree geografiche di arrivo, in base alle esigenze del territorio. Ciò comporta che oggi, una cooperativa non ha la possibilità di scegliere dei professionisti specializzati perché assenti dal territorio e, in alternativa, si appoggia su figure impreparate o con dubbia formazione. Quest’ultima, spesso, non assume gli standard formativi  ampiamente condivisi dalle regioni italiane.

In questo modo, talune agenzie private coltivano una fascia di corsi improvvisati, totalmente fuori dagli standard formativi regionali che tralasciano ogni forma di selezione riguardante l’attitudine, l’elaborazione del proprio percorso migratorio, il valore etico e la profonda conoscenza di entrambe le culture da parte del candidato – futuro mediatore interculturale.

Un’ulteriore elemento richiesto dall’A.M.M.I., che può evitare altri eventuali spiacevoli situazioni, è quello di strutturare immediatamente dei meccanismi nazionali e regionali che disciplinino l’impiego della figura e controllino gli elementi di idoneità professionale.

E’ giunta l’ora di attribuire alla professione una struttura di categoria, anche con poteri disciplinari, che vigili sulla professione e intervenga nel caso dell’uso improprio del titolo, fino a radiare gli elementi non idonei.

Accusare il dispositivo della mediazione attribuendogli le condannabili opinoni dell’uno e dell’altro non rende giustizia a questa nobile professione, che attualmente ha bisogno di essere sostenuta e resa degna del delicato operato che svolge quotidianamente.




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