Dossier: la Mediazione Interculturale nelle Regioni d’Italia

18
Feb

Dopo aver concluso il nostro viaggio nel mondo della Mediazione Interculturale in sei Paesi della Comunità Europea, ritorniamo in Italia a raccontare come è vista, formata, riconosciuta e inquadrata questa figura professionale nelle 21 Regioni del paese, dal sud al nord, isole e regioni autonome. 

La mediazione interculturale rappresenta uno strumento fondamentale nei processi di inclusione sociale, economica e culturale dei migranti.

Ma non esiste ancora una normativa nazionale chiara, precisa e unificata per definire e regolamentare questo mestiere. Sono per lo più le Regioni che intraprendono delle azioni legislative diverse per cercare di regolare il riconoscimento della figura, le sue competenze e mansioni, i suoi ambiti di attività e il percorso formativo necessario per accedere alla professione.

Dal punto di vista metodologico, il quadro è stato costruito attraverso un’analisi a livello regionale seguendo questi criteri:

– Presenza di norme regionali che definiscono o riconoscono la figura professionale del MIC
– Presenza di norme regionali che individuano i contesti in cui il MIC é chiamato a operare
– Presenza di norme regionali che disciplinano il percorso formativo attraverso il quale si accede alla qualifica professionale di MIC.

Il territorio nazionale sul riconoscimento della figura professionale del Mediatore Interculturale è diviso in due metà:  undici Regioni/Province autonome che hanno emanato una norma; e altre dieci che non hanno adottato ancora nessuna norma che riconosca la figura del MIC.

I primi, riconoscono la figura professionale del MIC attraverso un documento sancito al termine della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome (09/030/CR/C9) dell’8 aprile 2009, in cui alla figura del “mediatore” si riconosce la funzione di “ponte” tra diverse culture, necessario alla “promozione e allo sviluppo del dialogo interculturale”, “storicamente promossa e sviluppata dai mediatori interculturali”.

E si aggiunge anche che il MIC è “un operatore sociale che facilita la comunicazione tra individuo, famiglia e comunità…”

Invece a livello regionale, il ruolo del MIC, è riconosciuto da diversie Regioni si riconosce come “facilitatore” delle comunicazioni e “attore” che si impegna a rimuovere le “barriere” culturali e linguistiche fra migrante e servizi pubblici (Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Bolzano, Puglia e la Valle d’Aosta).

Un’altra linea vede il MIC come “educatore alle differenze”, che orienta e decodifica le espressioni dei bisogni dei migranti, le caratteristiche e i valori delle diverse culture.
Per quanto riguarda la qualifica professionale, il MIC viene definito come “tecnico della comunicazione interculturale” (Abruzzo), “operatore interculturale” (Provincia autonoma di Bolzano), “operatore sociale qualificato” ( Liguria).

Alcune, come la Puglia e la Valle d’Aosta, specificano anche che il MIC è quasi sempre di origine non italiana.

Gli ambiti in cui interviene il MIC sono quello educativo (scuola, formazione), quello sanitario ( Asl, ospedali, consultori), quello sociale ( servizi socio-assistenziali) e quello degli uffici pubblici. Seguono gli ambiti di accoglienza per i rifugiati e richiedenti asilo e quello giudiziario.

Per quanto riguarda la formazione del MIC, norme che disciplinano le modalitá di conseguimento della qualifica professionale sono presenti solo nelle Regioni che hanno riconosciuto la sua figura. I corsi formativi variano da 300 a 800 ore.

A livello accademico, ci sono anche dei corsi universitari specifici dedicati alla mediazione interculturale.

Per quanto riguarda gli elenchi dei mediatori esistono per ora solo “registri di mediazione” in alcune province. Fanno eccezione per il momento solo la “Long list” del Molise e l’elenco regionale della Valle d’Aosta.
Di seguito vi proporremo uno sguardo più dettagliato in tutte le Regioni cominciando dal Sud dell’Italia.

 

Per approfondimenti,




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