Dossier: Mi.: Lavoratori a chiamata. 2. Il contesto

18
Feb

In questo dossier, pubblichiamo, in 6 puntate, il lavoro di Simona Ciobanu e Zivkica Nedanovska, due mediatrici interculturali di Ravenna, realizzato nel 2009 e dal titolo: Lavoratori a chiamata: i mediatori culturali. 

  1. Introduzione
  2. Il contesto della mediazione culturale in Italia.
  3. Il mediatore culturale straniero: una professione nuova e precaria a rischio di estinzione.
  4. Il mediatore culturale: definizioni formali e discriminazioni sostanziali.
  5. Le difficoltà di una “non professione”: un’agenda frutto dell’esperienza.
  6. Conclusioni. La mediazione: quali prospettive, in positivo? 

 

2. Il contesto della mediazione culturale in Italia.

di Zivkica Nedanovska

La mediazione culturale si presenta oggi in Italia, prima ancora che come sbocco occupazionale, come una necessità legata all’aumento esponenziale di vicinanze fisiche tra attori sociali differenti separati spesso da profonde lontananze culturali, che impediscono tra di loro una comunicazione efficace nelle più differenti situazioni della vita sociale.

La lontananza tra culture, però, nel contesto contemporaneo, non rappresenta solamente la distanza orizzontale che intercorre tra mondi di significati diversi. In essa si concretizza anche una distanza verticale: una gerarchia tra centri del potere e periferie della vita sociale che, in forma più o meno manifesta, si proietta anche nelle relazioni tra i protagonisti del rapporto di mediazione, relazioni in cui le figure deboli sono rappresentate dall’utente straniero e dall’operatore straniero.

Su quest’ultimo aspetto della mediazione, sul fatto cioè che la terra di mezzo (1) in cui il mediatore straniero svolge il proprio lavoro costituisca un luogo di relazioni sociali fortemente squilibrate, la produzione scientifica, in Italia, finora, è per lo più mirata a riflettere su ipotesi che non sempre hanno avuto modo di essere sottoposte a una verifica empirica di vasto raggio.

Il presente contributo parte invece proprio dall’esperienza concreta di due mediatrici straniere (le scriventi), da molti anni impegnate in un’esperienza di mediazione culturale in ambito scolastico.

Il nostro lavoro si propone cioè di mettere in luce, almeno in parte, le contraddizioni concrete vissute da questa figura di operatore, a partire da considerazioni di ordine generale, tanto sul piano puramente economico che su quello politico-contrattuale.

Sul piano economico emerge trattarsi di professionisti utilizzati per migliorare a basso costo, in una palese carenza di fondi istituzionali, la qualità di un servizio relativamente “povero” (nel nostro caso specifico la scuola pubblica), riducendo in tale contesto i disagi di un’utenza debole ma complessa come quella migrante.

In altre parole, abbiamo a che fare con una situazione, già ampiamente documentata in altri ambiti lavorativi, di lavoratori stranieri impiegati in settori a bassa retribuzione pur essendo dotati di elevata professionalità. Nel caso del mediatore va però aggiunta una caratteristica relativamente anomala: al mediatore, infatti, viene, spesso richiesta una elevata professionalità e non è quindi detto che ci si trovi in una situazione di sottoutilizzo delle competenze detenute dall’operatore.

Quella che resta invece drammaticamente debole è la ricompensa economica, che da sola non permetterebbe la sopravvivenza, anche a causa della precarietà del rapporto di lavoro.

Sul piano politico, peraltro, la debolezza dell’operatore e dell’utente straniero appesantiscono le conseguenze di una gerarchia già implicita nella tipologia del rapporto di lavoro. Infatti, né l’operatore né l’utente, anch’esso straniero, sono in grado di far valere le proprie esigenze in quanto entrambi scarsamente dotati di peso politico-elettorale.

Una debolezza contrattuale tanto più penalizzante in un momento in cui i tagli alla spesa pubblica vanno a colpire in maggior misura le categorie meno provviste di peso politico e sindacale e, più in generale, settori come quello della scuola pubblica.

Va a tale proposito sottolineato che, ancora agli inizi degli anni 90, il mediatore straniero comincia ad operare in una fase storica in cui la Stato sociale, per quanto già fragile, annovera ancora tra le pieghe del suo bilancio la possibilità di riservare uno spazio a personale straniero, sia pure a basso costo e precario, capace di fornire una risposta alle esigenze dei nuovi venuti, sia pure con un progetto di accoglienza dai lineamenti non troppo ben definiti (integrazione?, assimilazione?, multiculturalità? interculturalità?) (2).
Con l’andare del tempo le esperienze si sono accumulate e, sia pure in modo non programmato, è venuta emergendo la figura di un professionista riconosciuta a pieno titolo in varie proposte di legge regionali e per la quale si poteva finalmente ipotizzare il superamento, sia pure parziale, del muro della marginalità, se non della precarietà. Purtroppo, tali ipotesi non hanno finora registrato verifiche concrete di peso adeguato.

 

Bibliografia.

(1). Bindi L., Terra di mezzo, Punto di fuga, Cagliari, 2007.
(2). Favaro G., Tognetti M., Donne dal mondo. Strategie migratorie al femminile,Guerini Associati., Milano, 1991.

 




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