I figli di immigrati, mandiamoli tutti a scuola

 Tito Boeri per La Stampa, 2 gennaio 2008
Il 2008 sarà sicuramente un nuovo anno di forte immigrazione. Rischia di essere anche un anno di mancata integrazione. A Milano, proprio alla vigilia di Natale, il Comune guidato da Letizia Moratti ha annunciato che chiuderà l’accesso alle scuole materne ai figli degli immigrati in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno.
Date le persistenti complessità della nostra legge sull’immigrazione (non doveva la riforma della legge Bossi-Fini essere una delle priorità nell’agenda di questo governo?) sono molti gli immigrati, da anni in Italia e per lungo tempo “regolari”, che attendono anche fino a un anno per il rinnovo del loro permesso di soggiorno. I loro figli non potranno più integrarsi con gli altri bambini italiani, imparare la nostra lingua e le nostre regole di convivenza civile.
In Veneto diverse amministrazioni comunali guidate dal Carroccio intendono introdurre quote al numero dei figli di immigrati iscritti alle scuole elementari. Dato che, in questi centri, quasi solo gli immigrati fanno figli, le quote” significano impedire ai figli degli immigrati di andare a scuola. E una “battaglia di civiltà”, secondo il vicepresidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Peccato che gli “incivili” facciano ricco il nostro Paese: il 50 per cento della nuova occupazione creata nell’ultimo anno sono lavori di immigrati, che hanno contribuito ad almeno un quarto della nostra crescita economica negli ultimi dodici mesi. Li tratteremo come i dittatori di Pechino trattano la manodopera che arriva dalle campagne cinesi. Vogliono proprio mandare i loro figli a scuola? Bene, che se la paghino! Non importa se questo ci condanna ad avere cittadini senza neanche la licenza elementare. Non importa se questo significa ritardare, se non impedire del tutto, l’integrazione.
In tutti i Paesi di immigrazione si fa di tutto per convincere gli immigrati a mandare i loro figli a scuola. Da noi stiamo cercando di fare esattamente il contrario. L’integrazione degli immigrati avviene per generazioni successive, soprattutto mediante l’accesso all’istruzione. Come messo in luce da diversi studi (tra cui un recente lavoro di Alan Manning e Sanchari Roy della London School of Economics), alla seconda se non alla terza generazione, gli immigrati che sono andati a scuola nel Paese che li accoglie hanno lo stesso senso di identità e appartenenza nazionale di coloro che hanno nonni e genitori nati in quel Paese. Tutti gli immigrati, di tutte le nazionalità e religioni. Sì, anche i musulmani. Letizia Moratti e i sindaci leghisti del Nord-Est vogliono, invece, che i figli di immigrati rimangano diversi e, ancor più, si sentano diversi da noi. Sapevamo che la miopia è un difetto comune nella nostra classe politica, tanto a livello nazionale che locale. Eravamo consapevoli del fatto che molte amministrazioni comunali sono gestite con orizzonti di brevissimo periodo, alla ricerca del consenso immediato. Ce ne eravamo resi conto dal modo con cui molti Comuni stanno gestendo il loro debito, compiendo operazioni in derivati, quali transazioni su tassi di interesse e acquisto di opzioni a prezzi non congrui, pur di abbellire i loro bilanci, imponendo un maggior costo del debito alle amministrazioni (e generazioni) future. Ma nel caso della gestione del debito dei Comuni si poteva anche attribuire parte delle colpe a una mancata consapevolezza e conoscenza del funzionamento di strumenti finanziari complessi, quali appunti i derivati. Poteva essere un problema non solo di miopia, ma anche di incompetenza. Nel caso della chiusura delle scuole ai figli degli immigrati, invece, gli amministratori locali non possono non essere consapevoli delle conseguenze di ciò che stanno facendo. E non dicano che lo fanno per tutelare le fasce deboli della popolazione da loro amministrata! Le persone a basso reddito hanno tutto da guadagnare da una rapida integrazione degli immigrati che popolano i quartieri in cui vivono, dalla loro adozione delle nostre regole e stili di vita, dal poter facilmente comunicare con loro. Vero che i figli degli immigrati competono con i figli degli italiani meno ricchi nell’accesso alle scuole materne, ma questo problema può essere affrontato solo espandendo l’offerta di asili nido, come hanno fatto purtroppo in questi anni solo alcune regioni italiane, significativamente non quelle oggi all’avanguardia nel combattere l’integrazione degli immigrati.
Invece di chiudere le scuole elementari agli immigrati, bisognerebbe premiare gli insegnanti che in queste scuole, pur fra maggiori difficoltà, riescono a completare i programmi formativi. Sarebbe un riconoscimento del ruolo sociale fondamentale che questi insegnanti oggi hanno nel nostro Paese. Per difendere le categorie più deboli bisogna combattere l’immigrazione irregolare e clandestina, che non paga le tasse e che può finire per essere contigua alla microcriminalità. Ma non è certo escludendo ì figli degli immigrati dalle scuole che si riuscirà in questa battaglia. Al contrario, si rischia solo di fomentare la marginalità e la criminalità. Per combattere in modo efficace l’immigrazione clandestina c’è solo una strada da percorrere: intensificare i controlli sui posti di lavoro, dove gli immigrati irregolari si recano tutti i giorni. Negli Stati Uniti l’intensificazione di questi controlli nell’ultimo anno sta portando a una vera e propria “auto-deportazione” (il termine usato dai media statunitensi) di immigrati clandestini, soprattutto messicani, che hanno deciso in questo Natale di tornare a casa per sempre, comprando un biglietto di sola andata per Aguascalientes o qualsiasi altro centro rurale da cui provengono. Perché allora i sindaci che dicono di voler combattere la piaga dell’immigrazione illegale non rivolgono le loro attenzioni agli ispettorati del lavoro, spingendoli a intensificare i controlli sui posti di lavoro nel loro Comune, perché non chiedono ai loro concittadini di aiutarli nel segnalare il lavoro irregolare degli immigrati? Un sospetto ce l’abbiamo: forse tra i loro grandi elettori ci sono anche coloro che assumono illegalmente manodopera immigrata e vogliono pochi controlli sui posti di lavoro per non pagare i contributi sociali e tenere basso il costo del lavoro. C’è solo un modo per convincerci del contrario: ci dimostrino coi fatti che non è vero.




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