Lahcen Aalla, Torino. Mediatore e attivista per i diritti e l’inclusione

18
Feb

Riportiamo di seguito una breve intervista a Lahcen Aalla, storico mediatore culturale marocchino e punto di riferimento della mediazione interculturale a Torino. Un professionista che oltre al suo lavoro  si batte da sempre per i diritti degli immigrati e per la loro integrazione all’interno del paese ospitante.

Lahcen Aalla è un mediatore culturale marocchino che si batte da sempre per i diritti degli immigrati e per la loro integrazione all’interno del paese ospitante. Si è  occupato e continua ad occuparsi di psicoterapia, supporto psicologico e couseling per immigrati, rifugiati politici e vittime della tortura presso il centro Franz Fanon. Ha inoltre dedicato un’attenzione speciale all’educativa di strada rivolta ai minori stranieri in situazione di svantaggio sociale e ha partecipato a ricerche sul tema “Infanzia e Immigrazione”.

Prezioso è stato il suo lavoro all’istituto penale per i minori “Ferrante Aporti” di Torino e all’Ufficio Minori extracomunitari e ai Servizi Socio-Assistenziali decentrati del Comune di Torino. È inoltre noto come docente in corsi di aggiornamento per operatori socio-sanitari e come relatore di diversi convegni con tema “Mediazione ed Etnopsicoterapia”.

– Come ha capito che la sua strada era quella della mediazione culturale?

Quando ero studente di sociologia all’università di Nizza, militavo in associazioni per la tutela dei diritti degli immigrati che si impegnavano a facilitare il rapporto tra stranieri e la pubblica amministrazione. Ero anche attivo nell’educativa di strada. Arrivato a Torino queste esperienze sono state utili soprattutto in vista del mio inserimento nel mondo della mediazione interculturale. Qui ho cominciato a lavorare all’ufficio minori stranieri ed all’IPM Ferrante Aporti dal 1994. Quindi diciamo che l’attività da mediatore culturale si può considerare come una sorta di continuità con il mio percorso di studi.

– Secondo lei quali sono i punti di forza di questo mestiere?

Sicuramente la mediazione interculturale offre dei vantaggi, non solo all’utenza straniera, ma alla collettività intesa nella sua accezione più ampia e al mediatore stesso. Infatti permette di avvicinare diversi mondi culturali, facilitando le comunicazioni e le relazioni, e consente di mediare eventuali conflitti. Il mediatore può allargare i propri orizzonti e può acquisire una maggiore consapevolezza dei processi migratori sia a livello macro sia a livello micro.

– Quali sono secondo lei i punti deboli?

Sicuramente In Italia lo status del mediatore interculturale è precario ed incerto. Questa figura professionale non è ben inquadrata e quello che emerge fuori troppo spesso è un quadro debole e fragile.

 – Quali prospettive future immagina per la professione?

Se l’Italia prospetta di usare la mediazione culturale come strumento di controllo della migrazione – come succede spesso con i progetti per i rifugiati – la prospettiva non sarà delle migliori e questo segnerebbe la fine della figura del mediatore interculturale. Anche le Università hanno un ruolo importante; finché si continueranno ad alzare barriere contro il riconoscimento dei diplomi esteri dei migranti con significativa esperienza di immigrazione il risultato non sarà soddisfacente. Infatti ci saranno tanti giovani italiani o di seconda generazione di immigrati in possesso di lauree in mediazione interculturale, ma incapaci di mediare perché formati e cresciuti solamente dentro un tessuto culturale : quello della cultura italiana maggioritaria e dominante.




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