Intervista a Martha Quinteros – Cuneo

18
Feb

Riportiamo di seguito l’intervista a Martha Quinteros, mediatrice culturale italo-argentina che da anni lavora in ambito scolastico, sanitario, sociale, prestando particolare attenzione alle problematiche legate all’inserimento nella vita sociale e scolastica dei minori. 

– Come ha capito che la sua strada era quella della mediazione interculturale?

– Allora, io sono arrivata in Italia nel 2003. In Argentina avevo conseguito una laurea in psicopedagogia che pensavo venisse convalidata in Italia. Purtroppo non è andata così e quindi inizialmente sono stata malissimo. Poi ho saputo di questi corsi per mediatori culturali e l’idea mi è piaciuta tanto. Così ho cominciato i corsi e ho capito che magari le mie conoscenze di psicopedagogia potevano tornarmi utili anche in un ambito come quello della mediazione culturale. Mi sono specializzata nella mediazione in ambito scolastico; ho lavorato anche in contesti ospedalieri, sociali, ma comunque quello scolastico rimane il mio preferito, anche perché è lì che posso sfruttare al meglio la mia laurea. A me personalmente questo lavoro piace tanto e lo faccio con tutto il cuore. Penso che la maggior parte di noi lo faccia per passione, visto che non è retribuito molto.

– Secondo lei quali sono i punti di forza della professione del mediatore?

– La forza sta nel fatto che è una professione nuova, quindi con tanti sviluppi che magari ancora non conosciamo. Ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo, c’è ancora tanto da fare. Poi comunque nel mondo di oggi non si può fare a meno della mediazione; la migrazione deve essere vista non come emergenza ma come risorsa. E la figura del mediatore deve essere riconosciuta.

– E i punti deboli?

– Il problema più grande è quello del riconoscimento della professione. Oggi la figura del mediatore interculturale non è conosciuta molto; non c’è una formazione standard, non c’è un albo, né una cornice giuridica precisa che ci tuteli. Se si istituzionalizzasse la professione sicuramente si lavorerebbe meglio, con più serenità, con più professionalità. Ormai l’Italia è una nazione multiculturale, non può permettersi di non riconoscere una professione così necessaria. Nessuno si chiede se serve un dottore o se esista un albo dei medici. O così anche un infermiere, un ingegnere, un avvocato. Allora perché dobbiamo ancora chiederci se un mediatore interculturale sia utile o no?

– Quali prospettive future immagina per la professione di mediatore interculturale?

– Spero che la professione venga riconosciuta in Italia, così come è riconosciuta in altri paesi europei. E spero di poter vedere mediatori intercultuali in ogni ospedale, ufficio, scuola, tribunale e così via. Bisognerebbe capire che il mediatore non va considerato come una spesa, ma come una risorsa. Come qualcuno che svolge un compito delicato ma necessario nel presente, per evitare incomprensioni e conflitti nel futuro. Io sono ottimista e penso che presto questo messaggio verrà recepito. Bisogna però che anche la politica intervenga in qualche modo. Io vengo da un paese che ha ospitato tanti migranti, e ben venga che sia stato così, per cui per me è naturale pensare che viviamo in un mondo interculturale, fatto di relazioni e di scambi tra gente che proviene da posti diversi.




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