Sabina Darova, Asti. “La mediazione non dovrebbe essere un lavoro ‘d’emergenza’”

18
Feb

Riportiamo in seguito l’intervista a Sabina Darova, mediatrice interculturale albanese che da molti anni svolge il suo lavoro con passione e dedizione, interessandosi soprattutto alla mediazione in ambito scolastico e sanitario in provincia di Asti.

– Quando ha capito che la mediazione interculturale sarebbe diventata la sua strada?

Ho iniziato nel lontano 1999 un corso per mediatori interculturale che si organizzava per la prima volta per le due province di Alessandria e Asti dalla Casa di Carità Onlus di Torino. È stato un corso molto istruttivo, anche se la vera professione l’ho appresa sul campo, presso il consultorio familiare di Asti, trovandomi di fronte ai bisogni del servizio e degli utenti. All’inizio nessuno sapeva cosa fosse un mediatore perché all’epoca era una figura nuova, anche un po’ ambigua. Ho deciso di diventare mediatrice perché volevo uscire dalla routine dei soliti impieghi a cui potevano aspirare gli immigrati, è stata una scelta presa per uscire dallo schema in cui ci trovavamo. In più c’era la possibilità di trasmettere le tue conoscenze, di mettere a disposizione le tue capacità.

– Qual è il punto di forza della professione di mediatore interculturale?

La mediazione serve molto nei rapporti di ogni giorno perché viviamo in un mondo multiculturale. I punti di forza di questa professione sono sicuramente quella della comunicazione, dell’ascolto e della fiducia. Noi lavoriamo molto con la comunicazione sia con l’utenza straniera sia con chi ci assume sia con diverse figure professionali come gli psicologi, gli assistenti sociali, i medici, gli educatori, gli insegnanti, gli impiegati. Possiamo essere considerati come un ponte che traduce e interpreta il pensiero da una parte all’altra, e i rapporti che si vengono a creare con entrambe le parti, sono rapporti di fiducia. Una parte importante del nostro lavoro è quella dell’ascolto, il saper ascoltare. Non è semplice saper ascoltare veramente le esigenze, i bisogni della gente. Poi c’è un secondo momento del lavoro, in cui ci viene richiesta la nostra opinione, da entrambi le parti, e così siamo chiamati a dire la nostra e a mettere a frutto le nostre conoscenze, offrendo delle possibili strategie di lavoro.

 – Qual è il punto debole della professione di mediatore interculturale?

Sicuramente dovrebbe essere compito di ogni mediatore aggiornarsi il più possibile, purtroppo c’è chi non lo fa e questo crea poi dei problemi. Bisogna mettersi in gioco sovente. Poi un rischio che corriamo tutti noi è quello di metterci troppo nei panni dell’utente straniero, quando invece è necessario essere il più possibile distaccati. E poi c’è il grande problema della mancanza di un albo, di un riconoscimento nazionale. Queste circostanze creano la vera debolezza della professione.

– Quali sono secondo lei le prospettive future per la mediazione?

Dipende tutto dalle risorse economiche. I mediatori in ambito scolastico sono diminuiti, ci chiamano solo in caso di emergenza. Invece il mediatore dovrebbe lavorare fianco a fianco dell’educatore, avere del tempo per operare. Non ha molto senso chiamare un mediatore solo per emergenze, perché il nostro non è un lavoro di pronto soccorso. Il mediatore è un agente di cambiamento, decodifica i codici culturali e aiuta ad apportare delle trasformazioni nei messaggi e nel mondo di pensare di entrambi i suoi clienti. Piuttosto il nostro lavoro va inteso come un percorso. Soprattutto in ambito scolastico e sanitario. A scuola, per quanto riguarda i progetti di educazione interculturale, il compito che prima veniva svolto dal mediatore, adesso viene affidato agli educatori. Oggi bisognerebbe fare una campagna di informazione, per far conoscere a tutti la figura del mediatore. Purtroppo oggi il nostro ruolo non è ben definito, né le nostre competenze o i nostri limiti. Questo fa sì che spesso non ci si prenda sul serio e veniamo scambiati per interpreti linguistici e non veniamo collocati accanto alle altre figure professionali.
Il problema della continuità lavorativa esiste ed è molto importante, per ciò bisognerebbe agire in modo da risolvere i problemi che ancora gravitano attorno alla professione di mediatore.




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