Il secondo corso GFT, un brainstorming tra i professionisti del pronto soccorso e i mediatori interculturali. Esistono delle soluzioni passepartout?

18
Feb

Si è concluso il 7 aprile all’IPASVI (Iscritti all’Albo degli Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici d’Infanzia)  il corso “Il paziente straniero al triage – incontro di culture differenti”, organizzato dal Gruppo Formazione Triage (GFT) e dall’Associazione Multietnica dei Mediatori Interculturali (A.M.M.I.).

Se il primo giorno è stato dedicato, tra l’altro, alla presentazione del fenomeno migratorio in Italia con le normativa specifica e i principi di deontologia, il secondo ha messo „face-to-face” professionisti del pronto soccorso e mediatori interculturali da diverse comunità etniche, al fine di individuare le migliori modalità per rispondere ai bisogni dello straniero nella fase di triage, al pronto soccorso.

Il gruppo di mediatori interculturali è stato composto da rappresentanti delle comunità rom, est-europea (Albania e Romania), araba, cinese e nigeriana.

Alcune domande poste dal personale medico del pronto soccorso ai mediatori interculturali:

Vi muovete in tanti, perché? Quando un paziente rom arriva in pronto soccorso diventa complicato gestire l’emotività di tutti i parenti presenti. Ci sono delle tecniche per gestire al meglio i parenti? (domanda per la comunità rom)

Ilvia, mediatrice interculturale rom, spiega: Siccome manca un ponte per avvicinare le due culture, ci muoviamo in tanti per offrire supporto alla famiglia. I parenti percorrono dei chilometri per aiutare la famiglia che si trova in difficoltà, all’ospedale.

Oltre questo, quando cerchiamo di isolare i parenti dal malato, nella fase di triage, il paziente rom si sente discriminato e pensa che lo facciamo soltanto perché, appunto, è rom. Come dovremmo agire perché questo non succeda?

Ilvia: Separato dalla famiglia, il paziente rom si sente debole e in mancanza di un mediatore di etnia, fraintende che gli succede questo soltanto perché è rom.

Ilvia ha spiegato anche la differenza tra i rom che vivono nei campi e quelli che hanno ormai una casa: quest’ultimi hanno già concluso un percorso per arrivare all’autonomia.

Provenendo da una comunità discriminata, non tendete a vittimizzarvi troppo?

Non nascondo che il fatto di far parte di una comunità discriminata mi ha portato a volte fortuna; ho lavorato per la Commissione Europea oppure per il Governo albanese, ha ammesso Ilvia.

Perché c’è molta aggressività nella richiesta? Ci sono strategie per fronteggiare questo atteggiamento? (domanda per la comunità est-europea)

Blenti Shehaj, Presidente dell’A.M.M.I.: Innanzitutto, penso che non bisogna generalizzare mai su un’intera comunità poiché il vissuto di ognuno di noi è diverso e personale.

Penso che le strategie per fronteggiare questo atteggiamento ci siano già, le avete voi, i  professionisti del pronto soccorso, soltanto che ci vuole tempo perché diventino efficaci.

Per essere più concreto, dalla mia esperienza di mediatore in vari ambiti professionali, posso dire che a volte un semplice contatto, un tocco leggero sulla spalla può calmare l’utente aggressivo.

Ana, mediatrice interculturale rumena: Si dice che la comunità rumena mostri un atteggiamento aggressivo ovunque: all’anagrafe, in posta, al supermercato ecc. In pronto soccorso, nella fase di triage, penso che il rumeno diventi ancora più arrabbiato. Una prima ragione è legata al contesto: è malato, si sente vulnerabile e ha a disposizione come unica arma il tono della voce.  Oltre questo, possiamo parlare di ragioni storico-politiche: il regime di Ceaucescu ha lasciato impronte profonde sul popolo rumeno che ha sviluppato un forte spirito di competizione dappertutto (a scuola, al lavoro). Certo, l’aggressività può derivare anche dalla frustrazione personale: per esempio, perché qui in Italia si svolge un lavoro che non corrisponde al livello di istruzione acquisito nel proprio paese (valido per tutte le comunità straniere in Italia, non solo per i rumeni). Come affrontare l’aggressività? Non esiste una ricetta vera e propria. Anche se in triage i tempi sono stretti, penso che ascoltando attivamente o lanciando uno sguardo che può instaurare un rapporto di fiducia velocemente potrebbe calmare l’utente aggressivo, che sia rumeno, albanese o da qualsiasi altra parte.

Il corso “Il paziente straniero al triage – incontro di culture differenti” è stato pensato come una sessione di riflessione e indagine sulle  criticità e le difficoltà  vissute dagli  operatori  e dall’utente immigrato in sede di triage, al Pronto Soccorso (PS).

Essendo una fase delicata per il paziente straniero che, oltre al problema di salute, deve affrontare anche le difficoltà linguistiche, culturali e talvolta anche il timore  di  denuncia  perché forse irregolare, si è ribadito che non esistono delle soluzioni standard, le cosiddette soluzioni passepartout, ma strumenti per garantire un’esperienza migliore in PS. Questo perché…

Non si può imporre un modello di assistenza estraneo alla cultura in cui si opera” (Madeleine Leininger, autore del modello Sunrise)

I concetti del modello Sunrise sono stati spiegati da Ana Cristina Vargas,  antropologo culturale e professore all’Università degli Studi di Torino, durante la prima parte del corso “Il paziente straniero al triage – incontro di culture differenti”.

 

 Ana Ciuban




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