Indrit Aliu, Torino. Per l’affermazione della professione sul territorio piemontese.

18
Feb

Riportiamo sotto l’intervista a Indrit Aliu, giovane mediatore culturale albanese, il quale sta lavorando, insieme ad altri collaboratori, a un progetto innovativo per quanto riguardo l’affermazione della professione del mediatore interculturale sul territorio piemontese.

Può parlarci di questo progetto a cui state lavorando?

È un progetto dell’associazione A.M.M.I., con l’IRES Piemonte, con il C.C.M.  e  con l’Asgi, finanziato dalla Compagnia di San Paolo, che prevede la creazione di una rete regionale dei soggetti che impiegano la mediazione interculturale, la mappatura sul territorio di chi si avvale della mediazione e la stesura di un’elenco di 250 professionisti mediatori regionali, che poi andrà a rimpolparsi in maniera volontaria; tutto ciò affinché si possa migliorare la qualità del servizio di mediazione, dando maggiore visibilità e alla professione in sé e alle associazioni e cooperative stesse che parteciperanno. Uno degli obiettivi che ci prefiggiamo è quello di creare un elenco regionale di mediatori interculturali, perché non essendo riconosciuta in ambito nazionale la nostra professione è praticamente impossibile creare un albo vero e proprio; anche se non smetteremo di impegnarci affinché venga riconosciuta e regolamentata sia per quanto riguarda la formazione sia per quanto riguarda quelli che sono i termini contrattuali.

Questa battaglia per il riconoscimento della professione di mediatore esiste già da tempo…

Ci sono state diverse proposte, diverse richieste anche alla classe politica di regolamentare la figura del mediatore, noi stiamo lavorando in questa direzione perché il nostro è un lavoro che va avanti da tanti anni e merita di essere riconosciuto. Oggi ci sono i fondi, ci sono gli strumenti, ci sono le possibilità, manca solo un po’ di volontà politica.

Di cos’altro si occuperà il progetto?

Questo progetto intende mettere in relazione le diverse associazioni, enti, cooperative che si occupano di mediazione in modo da gestire al meglio quello che è il fabbisogno di mediazione a livello regionale. Purtroppo ora come ora non funziona così, non si tiene molto in considerazione l’effettiva necessità di mediazione del territorio.

Può parlarci del resto del team con il quale sta portando avanti la parte progettuale di A.M.M.I.?

Si, siamo in quattro e stiamo lavorando molto per adesso soprattutto sulla mappatura e i contatti diretti con associazioni, enti, cooperative, fondazioni anche se a breve  cominceremo a lavorare proprio sull’elenco di mediatori interculturali da stilare. Oltre che da me il team è composta da Betty Paez (mediatrice colombiana), Latifa Tazzit (mediatrce marocchina) e Virginie Youmsi (mediatrice camerunese).
Stiamo lavorando da gennaio, inizialmente senza fondi e aiutati dal Presidente dell’A.M.M.I., Blenti Shehaj, perché uno degli ideatori del progetto, poi l’incarico di seguire questo gruppo di lavoro è stato passato a me.

Avete già contattato qualche associazione/ente? Come è stato accolto questo progetto?

Abbiamo già contattato qualcuno tra queste enti, cooperative e stiamo ancora contattando. Il progetto è stato accolto ottimamente perché è importante per le associazioni avere la possibilità di collaborare, di dialogare con altre cooperative, avere la possibilità di confrontarsi, ma anche avere una grande visibilità in regione. Le associazioni e le cooperative vogliono avere più riconoscimento sul territorio e vogliono sentirsi anche più tutelate perché non avere un albo poi significa non avere garanzie, certezze di continuità. Ecco, in questo senso il progetto a cui stiamo lavorando può dare un contributo straordinario alla causa della mediazione interculturale e per osmosi anche a chi gestisce e si avvale della mediazione sul territorio.

Partendo da questo progetto, quali ulteriori sviluppi si possono immaginare?

Ciò che crediamo sia necessario è la regolamentazione della professione e un suo maggiore riconoscimento. Proprio per questa causa ci stiamo battendo per la creazione di un albo, regionale e, magari, statale. Poi il fatto che un grande numero di associazioni  e cooperative collaborino all’interno di una unica rete affinché il ruolo professionale del mediatore venga finalmente riconosciuto è qualcosa di molto importante. Sappiamo che ci vorrà molto lavoro, che la fatica è tanta, ma speriamo, anzi pensiamo di riuscirci non in tempi brevissimi ma comunque in tempi accettabili. E questo anche grazie ai partner che collaborano con noi. Lavorare dentro una rete significa essere più forti e avere più visibilità e più peso. In Italia la figura del mediatore interculturale è richiesta pressoché ovunque, ma non viene riconosciuta; questa è una logica che andrà mano a mano ad esaurirsi perché non si può richiedere l’intervento di una professione se di fatto la professione non esiste.




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