Klodian Kojashi, Casale Monferrato. “Il mediatore come guida verso una società interculturale”

18
Feb

Klodian Kojashi è di origine albanese e lavora come mediatore interculturale dal 2002, appena terminato il corso di formazione.

La sua formazione tecnica la riceve alle superiori a Pisa.  Lavora per otto anni a Scutari come coordinatore della prima equipe che gestiva il Centro Interculturale per la Pace chiamato “Il Villaggio della Pace”. Per lui è stata un esperienza unica, importante, che gli ha dato la possibilità di conoscere centinaia e migliaia di persone da tutto il mondo.

Dal 2003 fino al 2006 lavora come responsabile del settore della cooperazione allo sviluppo alla Caritas Diocesana di Scutari, progettando interventi di sviluppo sopratutto per quanto riguarda  l’inserimento lavorativo di donne e giovani e con un occhio di riguardo particolare alle persone con disagio.

Segue dal 2009-2010 il Progetto Bottega, un Progetto che sosteneva la nascita dell’impresa sociale e incoraggiava lo sviluppo di politiche attive del lavoro. Così si realizzarono più’ di cento tirocini in azienda, sostenendo lo start-up di piccole imprese di assistenza alla persona, l’artigianato e il turismo sociale.

Dal 2009 al 2010 lavora per World Vision presso la sede di Scutari. Dal 2010 vive e lavora in Italia.

Mediatoreinterculturale.it: – secondo lei, qual’è la definizione più “giusta” della professione del Mediatore Interculturale ?

Klodian Kojashi: Quando ho iniziato la formazione per mediatori interculturali, la definizione più diffusa era la seguente: non sappiamo bene cosa sia ma ne sentiamo il bisogno. Negli anni la definizione del mediatore credo sia cambiata. Trovo doveroso cambiare, perché deve rispondere ai bisogni del tempo.

Oggi forse l’immagine più diffusa del mediatore è quella di un traduttore, diciamo un traduttore un po’ colto che non solo traduce ma spiega alle parti alcuni dettagli. Credo sia un immagine che non rende merito alla figura del mediatore e non lo aiuta a crescere.

Il mediatore e’ colui che deve traghettare la comunità nel passaggio da una società multiculturale ad una società interculturale. Il mediatore non solo deve aiutare gli scambi, il dialogo, sapere avvicinare, navigando tra paure, stereotipi e pregiudizi, ma deve essere capace di creare reti.

Serve una mediazione territoriale, il mediatore dovrebbe essere colui che catalizza la creazione delle reti, facilitare, seguire e curare, la condivisione e il confronto tra enti e cittadini, tra diritti e opportunità. Il dialogo e gli scambi sono i pori della società, ed è quello di cui sentiamo il bisogno. Bisogna formare dei mediatori con una visione locale.

Mediatoreinterculturale.it: – Quali sono le differenze tra queste tre professioni: educatore, assistente sociale, mediatore interculturale?

Klodian Kojashi: Delle tre professioni, quella che ancora oggi sembra una professione minore, oppure che non viene considerata una professione è quella del mediatore. Le altre due sembrano molto più definite.

Credo sia compito delle tre figure di lavorare insieme. Oggi la formazione ha l’obbligo di formare un io molteplice, un pensiero antidogmatico, ha il dovere di portare l’uomo verso l’altro, verso il diverso. Diciamo che la formazione, sarebbe il progetto, la matrice, quello che dovrebbe riuscire a mettere insieme educazione, istruzione, attenzione e cura.

Abbiamo bisogno di esperienze educative aperte, che valorizzino la diversità.  Uscire dal “Sé” per cogliere l’altro, e’ una forma di conoscenza capace di ricostruire sia gli individui che la società. Per farlo, bisogna avere progetti capaci di mettere insieme in maniera intelligente le varie figure professionali.

Mediatoreinterculturale.it: – Secondo lei, con i flussi migratori attuali, che ruolo assume il mediatore culturale?

Klodian Kojashi: – I flussi migratori accendono l’emergenza e sicuramente si pensa direttamente al bisogno di avere persone che parlano la lingua di chi sbarca, e che aiutano a comprendere i motivi e la storia personale.

Non bisogna dimenticare che l’emergenza altro non è che il risultato di un rapporto tra un evento e la nostra preparazione. Maggiore è la consapevolezza, la capacità di lettura dei cambiamenti di oggi e meno emergenziale sarà la situazione.

Proprio per questo dico che, insieme ai mediatori, bisogna costruirsi mentalmente strutturalmente per affrontare in maniera meno emergenziale sia gli sbarchi che le tematiche quotidiane dentro le nostre comunità. Bisogna lavorare con le nuove generazioni, bisogna aprire nuovi spazi e inserire occasioni di dialogo laddove manca.

Mediatoreinterculturale.it: – Quali sono i punti di debolezza e i punti di forza del mediatore interculturale?

Klodian Kojashi: – Non me la sento di fare la radiografia di una figura che comunque ancora oggi fa fatica a trovare gli spazi che dovrebbe avere. Mi viene da pensare che il punto di forza dovrebbe essere la capacità che ogni mediatore ha di mettersi in gioco, di ‘macchiarsi’ di storie e vicende, usanze e racconti, di altri, rimanendo se stesso e pronto a mettere in relazione queste espressioni con quelle degli altri, dei luoghi, dei gruppi e dei singoli.

Dall’altra parte, penso proprio che questa capacità di mettere e mettersi in gioco ogni giorno, sia il punto debole del mediatore. Molti hanno paura di questo attegiamento, pensano che mettersi in gioco vuol dire perdere storia, tradizioni, assimilarsi. Si rifiutano, si ritirano, si chiudono. Sappiamo bene invece, che mettersi in gioco non è vivere le relazioni allo sbaraglio, ma richiede una disciplina quasi militare, e’ l’esrecizion quotidiano, per ricostruirsi insieme con e tra gli altri. E’ la nostra grande opportunità. Come singoli e come comunità.

Mediatoreinterculturale.it: – Quali sono le sue aspettative come Mediatore Interculturale per il futuro?

Klodian Kojashi: – Lavoro da quasi tre anni per la Cooperativa “Crescere Insieme” con sede ad Acqui Terme e mi trovo bene. Non e’ un lavoro facile ma l’apertura mentale, la chiarezza sugli obbiettivi e il lavoro di squadra mi fa vivere con coraggio ed entusiasmo le sfide di ogni giorno.

Come mediatore interculturale vorrei vedere e pensare di avere contribuito, ad una società più interculturale, più consapevole, delle risorse che la diversità non concede, ma mette a disposizione, e che spetta agli attori locali creare le condizioni adatte perché crescano e si sviluppino.




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