Le competenze interculturali dei professionisti interculturali – Mediatore e Counselor

18
Feb

Un contributo di Maria Mihaela Barbieru*

In una ricerca realizzata [1] presso alcuni operatori culturali, ho osservato nelle persone intervistate una certa attenzione e sensibilità. Dalle interviste  sono emerse le seguenti competenze, che potrebbero delineare il profilo di successo dell’operatore interculturale: capacità di ascolto, capacità empatica, capacità di dialogo e di relazione con l’altro, capacità di sospendere il giudizio e di non aver un retro pensiero, capacità di creare e mantenere durante l’incontro un rapporto di fiducia e di trasparenza.

Le persone intervistate hanno evidenziato, altresì, che l’operatore interculturale dovrebbe essere dotato di una buona curiosità che lo spinga a conoscere ed accettare in maniera incondizionata l’altro, rispetto per l’altro, sincerità, umiltà e solidarietà. Lo stesso dovrebbe avere un modo professionale di rivolgersi all’altro e di agire con trasparenza e con “savoir faire”.

L’operatore interculturale, per la precisione, il mediatore interculturale, dovrebbe essere ben preparato, avere delle conoscenze culturali, tecniche, legislative e mediche; dovrebbe essere un ponte, un trait d’union tra i vari enti locali e le comunità culturali esistenti sul territorio e, quindi, dovrebbe intervenire per aiutare le strutture pubbliche laddove ne siano sprovviste (con particolare attenzione alla figura del mediatore interculturale). A seconda delle esigenze dell’immigrato ma anche dell’autoctono, è emersa con particolare attenzione nella relazione di aiuto, anche la figura del counselor interculturale. Si è consapevoli e si è compresa l’impasse in cui si può trovare l’immigrato, il disagio nel sentirsi spaesato, in casa, a scuola, al lavoro, nel parlare un’altra lingua, nell’affrontare modalità e codici diversi di comunicazione e dinamiche diverse in ogni relazione che lui sia desideroso di costruire. Si è, dunque, consapevoli dello shock culturale che l’immigrato possa subire. Si è compreso che anche dall’altra parte, la persona autoctona (che non sia, ovviamente, un operatore interculturale per scelta) che si trova, per vari motivi, ad interagire e/o relazionarsi con un immigrato possa sentire lo stesso disagio, avvertire le stesse incomprensioni, trovarsi nelle medesime difficoltà; da qui, l’esigenza sia per l’uno che per l’altro di essere accompagnati, diciamo, da un counselor interculturale.

Ad integrazione di quanto emerso dai risultati delle interviste per quanto riguarda l’operatore interculturale e le competenze che completino il suo profilo, ho aggiunto altre competenze interculturali che la letteratura di genere propone, principalmente i libri del Prof. Portera [2]. Le competenze interculturali sono state divise a seconda degli eventuali campi di intervento degli operatori interculturali in questione.

Nel campo della scuola, le competenze principali emerse rientrano nell’area del sapere (conoscenza di lingue e delle culture), sapere essere (apertura intesa come sensibilità, curiosità e decentramento), flessibilità, rispetto, empatia, responsabilità, empatia, congruenza e consapevolezza del Sé, saper fare (saper costruire contesti e gruppi, con coinvolgimento, motivazione e mediazione).

Nel campo dell’ambiente aziendale, le competenze interculturali emerse sono dell’area del saper essere (conoscenza del Sé, delle proprie convinzioni e valori, consapevolezza dei propri stereotipi e pregiudizi, congruenza, flessibilità) area del sapere (conoscenze culturali e conoscenze comunicativo – relazionali, considerazione di conflitto come opportunità di crescita), area del saper fare (conoscenza di almeno una lingua straniera, capacità di gestire turni conversazionali, saper coinvolgere, motivare e valorizzare l’altro).

Nel campo giuridico, le competenze spiccanti appartengono all’area del sapere (conoscenza dei profili giuridici e culturali dell’altro, conoscenza del diritto internazionale, conoscenze linguistiche), sapere essere (apertura, umiltà, disponibilità al cambiamento, sensibilità, curiosità, flessibilità), saper fare (ascolto, empatia, abilità comunicative, cooperazione, mediazione fra diversi istituti giuridici).

Nel campo sanitario, le competenze interculturali emerse riguardano la dimensione del Sé: flessibilità ed elasticità mentale, rispetto e sensibilità, attenzione al paziente e alla sua specifica situazione, conoscenze linguistiche, conoscenze di concezioni diverse di malattia, salute, cura, igiene, informazioni circa le tradizioni religiose e dei sistemi sanitari dei pazienti stranieri e le competenze comunicative e relazionali.

Nel campo della mediazione culturale, le competenze emerse riguardano le aree linguistico-culturali relative al Paese di origine ed al Paese di intervento (similitudini e differenze presenti valorizzazione dei vari universi culturali) gestione del coinvolgimento emotivo, rispetto dei ruoli, conoscenza del contesto (cultura e linguaggio propri delle vari istituzioni), competenze comunicativo – relazionali (accoglienza, ascolto attivo, decentramento, sospensione del giudizio, flessibilità, fiducia), autoconsapevolezza (rielaborazione della propria esperienza migratoria, credenze, stereotipi e pregiudizi) e attitudini personali (flessibilità, curiosità, passione per l’altro).

Per quanto concerne la figura del mediatore, Marianella Sclavi ricorda nel suo libro[3] dell’importanza dei mediatori, essi vengono considerati come dei veri costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono “traditori della compattezza etnica”, ma non “transfughi”, afferma l’autrice.

I mediatori, questi costruttori di ponti e saltatori di muri dovrebbero sapere anche “abitare ma non oltrepassare la soglia”, nella visione di Romina Coin, rimanendo così dei perenni “al kantara”, termine arabo che significa un ponte sospeso tra due rive.

[Abitare la soglia contiene in sé, come costante possibilità, il concetto di attraversamento, ma non si esaurisce, né si realizza, in esso][4]

“Attraversare la soglia significa che ciò che era di là non è più il medesimo dall’altra parte. Dal di qua al di là qualcosa cambia. Qualcosa cambia intorno a noi, qualcosa cambia entro di noi, sicché attraversare le soglie è continuamente fare esperienza di noi stessi e del mondo” (Sini 1993)

Per quanto concerne è la figura del counselor, colei o colui che dà sostegno e <si dà> nella relazione di aiuto ma ha anche l’umiltà di mettersi da parte, di dare posto all’altro. Proprio come si fa o come si dovrebbe fare quando si viaggia, nella metropolitana per esempio, e si incontra una persona anziana o in visibile bisogno: se si è seduti, si comprende la sua necessità del momento e le si cede il posto.

Le concrete abilità di relazione umana indicate da Carl Rogers hanno sottolineato l’importanza attribuita alla ricchezza interiore dell’operatore. L’uso del Sé è ritenuto un fattore fondamentale nel processo di aiuto rogersiano ed ha conseguentemente un posto di primo piano, costituendo il focus della formazione.

L’obiettivo principale del counselor è quello di individuare e alimentare le risorse o le capacità personali e i maggiori punti di forza delle singole persone che il counselor incontra.

“Se una persona si trova in difficoltà, il modo migliore per aiutarla non è quello di dirle esplicitamente cosa fare, quanto piuttosto di indirizzarla a comprendere la situazione e a gestire il problema facendole prendere, da sola e pienamente, la responsabilità delle proprie scelte e decisioni. Gli individui hanno in sé stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé.”[5]

Concludo, riportando una citazione di Carl Rogers che dovrebbe farci riflettere sulla relazione con noi stessi e con gli altri:

“Noi non possiamo cambiare, non possiamo allontanarci da ciò che siamo, finché non accettiamo fino in fondo ciò che siamo. Allora sembra che il cambiamento avvenga quasi inavvertitamente. Solo quando mi accetto come sono, posso cambiare.”

Note:

[1] Maria Mihaela Barbieru. Ricerca “Milano interculturale. Realtà esistente? Utopia? Sogno da realizzare?”. Università di Verona, 2015

[2] Agostino Portera, Competenze interculturali – teoria e pratica nei settori scolastico-educativo, giuridico, aziendale, sanitario e della mediazione culturale,Editore Franco Angeli srl, Milano, 2013,

[3] Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili, 2003, pag. 341

[4] Romina Coin e all, Psicologia sociale e intercultura. Valori, saperi, relazioni, pagg.108 e 111

[5] Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente, Giunti Editore

 

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(*)- Maria Mihaela Barbieru. 

Laureata in Filologia – Lingue Romanze, master conseguito presso l’Università degli Studi di Verona in “Intercultural Competence and Management – Comunicazione, gestione dei conflitti e mediazione interculturale in ambito aziendale, educativo, sociosanitario, giuridico, dei mass media e per l’italiano L2”, iscritta all’Albo dei Periti Tecnici e CTU presso i Tribunali di Milano e Monza, mi occupo di traduzioni giurate ed interpretariato nonché comunicazione e mediazione interculturale, docenza e consulenza linguistica aziendale.

Info: mbarbieru@hotmail.com




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