La mediazione transculturale nella sanità piemontese: intervista a Marco Grosso formatore e coordinatore corsi

18
Feb

Marco Grosso lavora come radiologo alle Molinette e da diversi anni si occupa di mediazione transculturale in ambito sanitario. Ha voluto fortemente coinvolgere il mediatore all’interno degli ospedali e crede molto nella figura come strumento valido per facilitare la comunicazione tra medico e paziente. Collabora con INMP e con Caritas, ha portato avanti diversi progetti di ricerca sul rapporto tra mediazione culturale e strutture sanitarie.

Come ha cominciato ad occuparsi di mediazione interculturale in ambito sanitario?
Mi sono avvicinato al mondo della mediazione grazie al servizio radiologico a domicilio; lì ho cominciato a spostare l’attenzione dall’aspetto tecnologico a quello umano e ho cominciato a chiedermi quali persone sottoponevo agli esami. Da vent’anni a questa parte il professionista sanitario, soprattutto in area radiologica, ha completamente dimenticato la dimensione umana e ha focalizzato i suoi sforzi più sugli aspetti tecnologici della professione. Io penso sia arrivato il momento di riappropriarci proprio di quella dimensione antropica che abbiamo un po’ perso. Questo mio personale percorso tra l’altro si inseriva all’interno di un processo di netto cambiamento per la società torinese. Questa città era stata uno straordinario laboratorio di migrazione, basti pensare alla prima massiccia immigrazione dal meridione. Negli anni ’90 però i contesti migratori stavano cambiando e Torino doveva abituarsi a un nuovo tipo di immigrazione, ovvero quella che aveva come protagonisti migranti stranieri.
Proprio all’interno di questo periodo di transizione mi sono detto che era il momento di cominciare a ridare ai pazienti una importanza maggiore e ho voluto iniziare a farlo proprio partendo dai pazienti più difficili. Tutto è iniziato quindici anni fa quando, parlando con un signore tunisino, cercavo di spiegargli che avrebbe dovuto mettere una firma per il consenso informato per fare una TAC con mezzo di contrasto. Mi ricordo che lui mi guardò e mi disse “Fratello, io nella mia vita ho messo solo due firme. Una per sposarmi, l’altra per il mutuo della casa. Mi dispiace ma non credo che questo documento sia così importante da mettere una firma”. La risposta spiazzò, e lì capii che evidentemente c’era un problema, un problema di sistema e di comunicazione che in qualche modo andava affrontato. Dai tempi dell’Università, sono sempre rimasto in contatto con INMP (Istituto Nazionale per la Promozione della Salute delle Popolazioni Migranti ed il Contrasto delle Malattie e della Povertà) e lì ho avuto modo di approfondire il grande tema della medicina delle migrazioni. All’INMP assumono sempre dei mediatori interculturali e anche grazie a questa esperienza ho capito quanto fosse importante questo lavoro.

Qual è il ruolo del mediatore interculturale in ambito sanitario?
Il mediatore culturale è a tutti gli effetti un ‘agente di democrazia’, cioè ha un ruolo ben preciso che lo obbliga ad essere l’ago della bilancia. Deve, in qualche modo, dire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
La mediazione è molto preziosa in tutti i contesti sanitari, ma al pronto soccorso, o in caso di patologie croniche è fondamentale. Il medico deve essere in grado di poter fare una buona anamnesi e non può permettersi di dare delle informazioni per scontate. Se arriva un settantunenne dal Camerun o dalla Cina, non è possibile sapere che vita ha fatto, che vaccini ha fatto, di cosa ha paura, cosa ha mangiato e via dicendo. In questo senso il mediatore ha un ruolo chiave, non solo nel percorso diagnostico ma anche e soprattutto ai fini di una buona compliance. Il mediatore, quindi, deve poter lavorare in maniera continuativa e deve poter dare all’utente e al medico un senso di continuità necessario a una buona riuscita terapeutica. Quanto sia importante la figura del mediatore all’interno degli ospedali è testimoniato dal caso della comunità cinese. Fino a quando non c’era il servizio di mediazione, i cinesi non andavano all’ospedale. Da quando abbiamo delle mediatrici/mediatori, la comunità cinese ha cominciato a usufruire dei servizi sanitari.
Esiste anche la possibilità della mediazione telefonica. Questa soluzione è usata dall’ospedale Mauriziano. Senza dubbio funziona come servizio, ma viene annullata l’importante componente umana, che è fondamentale soprattutto in situazioni in cui il medico deve dare notizie infauste.

Quando è fondamentale l’intervento del mediatore interculturale?
L’intervento del mediatore è fondamentale soprattutto in caso di malattie degenerative, cancro, trapianto d’organo, malattie sessualmente trasmissibili e interruzione volontaria di gravidanza. Queste sono situazioni in cui chiunque si trova in difficoltà, figuriamoci un paziente che magari non capisce bene la lingua e si trova da solo in Italia. Immaginiamo di dover spiegare la morte encefalica a qualcuno, dovergli comunicare che anche se il cuore del parente batte ancora non c’è più nulla da fare. E dopo questa serie di informazioni immaginiamo di chiedergli di decidere se donare gli organi o no. Sono momenti molto dolorosi e bisogna essere molto delicati. La figura del mediatore è fondamentale, ma lo dimostrano anche i dati. Da quando i mediatori lavorano in ospedale, il consenso per la donazione d’organo è aumentata tra gli stranieri.
Il mediatore, oltre a creare un rapporto di fiducia e con il paziente e con il medico, deve capirne anche di medicina. In questo senso la formazione specialistica è importantissima. I medici a volte parlano in “medichese”. La bravura del mediatore culturale sta anche in quello, cioè capire il linguaggio del medico. Con questo non intendo dire che il mediatore deve fare il medico, ma quanto meno deve capirlo. Questo è il motivo per cui anni fa sono riuscito ad avere un finanziamento per un corso per mediatori transculturali, che venivano formati proprio sulla mediazione in ambito sanitario. I mediatori sono stati a Roma due settimane e poi hanno continuato a Torino, con ancora quattro mesi di lezioni frontali. I corsi sono stati fatti molto bene, e i mediatori sono usciti molto preparati. È stato un indiscusso vantaggio per tutti.

Che prospettive future immagina per la mediazione?
Cinque anni fa avevo la netta sensazione che la mediazione stesse esaurendo il suo compito perchè pensavo si andasse verso una tranquilla convivenza transculturale. Sembrava come se ognuno si comportasse un po’ come credeva, senza un vero processo di assimilazione ma anche senza grossi problemi di integrazione. Oggi invece non la penso più cosi. Le migrazioni sono cambiate; arrivano gruppi etnici che fino a qualche anno fa non conoscevamo, e arrivano in condizioni differenti, ad età differenti. Quindi ritengo che la mediazione abbia ancora molto da fare, da dire, da insegnare e penso possa essere un valido strumento d’aiuto non solo per chi arriva in Italia, ma anche per gli italiani stessi.

Come vede la situazione dei mediatori oggi?
È importante che i mediatori siano bravi professionisti, siano preparati e aggiornati. Ad oggi non esiste un’unica formazione standardizzata, e le condizioni di lavoro sono precarie e poco retribuite. Di fatto vengono pagati pochissimo, per cui non c’è da parte di molti mediatori neanche la possibilità o la voglia di continuare ad aggiornarsi. Non era infrequente, fino a qualche anno fa, che chi si occupasse di mediazione facesse anche due tre lavori, per cercare di arrotondare. Oggi, il valore positivo di questa grande ondata migratoria, è per i mediatori quello di avere molto lavoro. Ma la cosa più importante è che oggi ci sono molte possibilità per chi comincia a fare il mediatore. Sono nate molte realtà, molti corsi di formazione. È una bella possibilità per chi ha voglia di costruirsi una professione. E come ogni professione, quella del mediatore dovrebbe seguire delle regole. Purtroppo invece in quest’ambito c’è troppa diseguaglianza. Non solo a livello di formazione, ma anche a livello di nazionalità dei mediatori. Esistono molte regioni di Italia in cui la mediazione è affidata agli italiani, anche se non so fino a che punto sia positivo e utile. Altro tema importante per il quale bisognerebbe spendere due parole è quello della specializzazione.
Secondo me il mediatore va specializzato. Non può funzionare un mediatore spendibile sia in ospedale sia a scuola sia in carcere e così via. Ognuno deve ricevere una formazione diversa. Bisogna ancora fare molto in questo senso.




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