Metodologie e strumenti di mediazione linguistica e culturale

Percorrendo le colline ho scorto una belva.
Avvicinandomi ho visto che era un uomo.
Avvicinandomi ancora ho riconosciuto mio fratello. (Proverbio Bambara )
Un materiale sulla mediazione linguistica culturale nelle pagine web del portale ristretti.it. Il materiale è in formato pdf e il testo completo lo potete scaricare dal link qui sotto

La configurazione dei flussi migratori, in termini di progetti e modelli di riferimento, non si configura più come fattore connesso e interno all’ambito dell’emergenza o comunque legato a periodi di tempo più o meno determinati, ma come elemento complesso stabilmente organico e strutturato alla composizione e all’organizzazione socio-economica e relazionale su cui si basa la società italiana.
Le persone migranti che arrivano nelle nostre città sono portatrici non solo di aspettative e bisogni, ma anche di molteplici differenze linguistiche, sociali, culturali e religiose che, nei fatti, pongono il tema dell’incontro tra differenze come uno dei nodi centrali su cui fondare i processi, tesi a costruire condizioni stabili di sviluppo e convivenza.
Le alterità che ci circondano, intese nella loro eccezione più ampia, esigono, per essere affrontate con coerenza, nuovi saperi, nuove conoscenze e risposte mediate, anche per non correre il rischio di scivolare in banalizzazioni, superficialità o, peggio ancora, in atteggiamenti allarmistici e di chiusura.
In particolare, occorre uscire da quei semplicismi che determinano i due schemi di analisi che sembrano oggi prevalere. Da un lato, il modello che potremmo chiamare dell’adeguamento sociale, che presuppone l’esistenza di una cultura dominante a cui l’altro, il “differente”, deve adeguarsi. D’altra parte, quello fondato su atteggiamenti del tipo “siamo tutti uguali” che, se pur spesso legato a generosi intenti di condivisione e accoglienza, è altrettanto pericoloso e dannoso perché tende a non riconoscere l’altro, negando, di conseguenza, spazi di valorizzazione delle differenze e di reciproca contaminazione tra le stesse.
Le società multiculturali e multietniche, dunque, rappresentano, i nuovi contesti all’interno dei quali, nei prossimi anni, dovranno interagire e formarsi le identità sia individuali che collettive. Identità che si troveranno a doversi orientare tra i molteplici valori, spesso tra loro contrastanti, presenti nello stesso spazio vitale e dovranno riuscire a trovare nuove vie che consentano loro di raccordarsi e integrarsi evitando frammentazioni ed esclusioni.
Conoscere l’altro, la sua realtà storica, culturale e religiosa è sicuramente uno degli aspetti fondamentali per la realizzazione di una convivenza pacifica e per una buona gestione del fenomeno dell’immigrazione.
La sfida delle politiche di inclusione e cittadinanza è proprio qui, nell’esigenza, oggi più che mai attuale e sentita, di far conoscere, rispettare e valorizzare le diversità, superando le reciproche diffidenze,paure e pregiudizi, al fine di prevenire comportamenti discriminatori e xenofobi e per consentire una convivenza democratica, organizzata e positiva. Tale impostazione porta con sé la necessità di un lavoro articolato, teso, in primo luogo a smantellare e superare qualsivoglia stereotipo o pregiudizio di matrice etnica o razziale.
Non è un lavoro facile. Infatti se è vero che gli stereotipi possono essere definiti come immagini mentali grossolane, rigide e semplificatorie, che ingiustamente determinano giudizi sfavorevoli riguardanti un individuo o gruppi di persone che appartengono allo stesso gruppo sociale, è altrettanto vero che glistereotipi stessi hanno quasi sempre solide e radicate radici emotive che non sempre sono aggredibili sul piano della logica e delle conoscenze.
Allo stesso modo, i pregiudizi sono frutto di tre fattori congiunti. Il primo riguarda l’esigenza del sistema cognitivo di semplificare la realtà, di avere aspettative sulle persone e sullo sviluppo degli eventi, anche al fine di economizzare le energie conoscitive utilizzando segnali e indizi come parte di un tutto.
Il secondo ha a che fare con il bisogno di appartenenza che spinge a riconoscersi nei gruppi dei simili e ad avversare chi è diverso, per motivi che sono insieme di ordine biologico, psicosociale e culturale. In ultimo, possono determinarsi ragioni di ordine storico sociale, che rimandano a particolari relazioni interetniche e internazionali, più o meno conflittuali, instaurate precedentemente.
Per progettare interventi efficaci contro i pregiudizi razziali bisogna considerare l’intreccio di vari fattori e tener conto della necessità di:
• consentire ai soggetti un’interazione cooperativa sufficientemente lunga, approfondita e soddisfacente, poiché la mancanza di contatti e di esperienze dirette non consente di sperimentare la poca fondatezza dei pregiudizi, anzi li rafforza;
• sperimentare situazioni in cui si incontrano membri di altre etnie ma con uno status simile, senza disparità di potere, prestigio e posizione sociale;
• offrire un nuovo quadro interpretativo nel quale si possano inserire le nuove informazioni positive;
• fornire un supporto istituzionale e culturale che dia continuità alle esperienze di contatto in modo che non costituiscano un’eccezione ma la norma.
Dall’insieme di considerazioni fin qui riportate appare evidente come gli interventi e le azioni di mediazione culturale si caratterizzino come procedura indispensabile alla risoluzione dei conflitti di valori e di norme sociali inerenti la coabitazione nelle società occidentali di minoranze appartenenti ad altre etnie.
Il lavoro di informazione diffusa rivolto alla popolazione autoctona; l’apertura di spazi e luoghi di incontro e relazione tra le differenti culture che abitano e convivono sui territori; la prevenzione e il contrasto di ogni forma di discriminazione e razzismo, sono elementi che appartengono ad un primo ambito di intervento della mediazione culturale.
Una seconda area di riferimento riguarda il tema del sostegno ai percorsi di inclusione di cui sono protagonisti i migranti e le loro famiglie.

Infatti, la persona immigrata è impegnata in un lento e faticoso processo di adattamento alla nuova
situazione, che, a volte, può favorire un meccanismo, consapevole o inconscio, di rimozione degli aspetti culturali e tradizionali legati al mondo quotidiano di provenienza. Un meccanismo che, a sua volta, facilmente determina un processo di destabilizzazione psicologica e sociale. Al momento dell’arrivo, il migrante deve fare i conti con un repentino e improvviso mutamento di condizione che ha a che fare con molteplici aspetti. L’abbandono del paese di origine porta con se la necessità di abbandonare tutto il bagaglio di conoscenze e capacità legate alla relazione con il contesto originario, per rimpiazzarlo, il più velocemente possibile, con nuovi codici di riferimento, funzionali all’inserimento nel contesto di arrivo.
Dunque, un passaggio necessario, ma che allo stesso tempo non è facile da realizzare, soprattutto quando non si trovano, sul territorio e nei servizi, adeguati supporti e luoghi di riferimento.
In questo senso, l’immigrato è un individuo marginale in quanto proviene da un altrove, un altrove geografico, culturale, politico e linguistico, proviene dal basso, ovvero da una condizione di debolezza socioeconomica che rappresenta di per sé un ostacolo all’inserimento e alla partecipazione, anche in ragione del venir meno di una rete di relazioni sociali. Inoltre, non possiede una titolarità formale dei diritti di cittadinanza.
Tale mancanza limita fortemente l’immigrato, la capacità di negoziare i propri bisogni o anche la possibilità di contare su forme di rappresentanza, diversamente da altri soggetti deboli ma autoctoni.
Nella realtà italiana molti dei servizi che si occupano di stranieri sono ancora oggi destinati ai soggetti emarginati, le cui caratteristiche e problematiche si discostano molto da quelle dei cittadini immigrati, persone che hanno bisogno di inserirsi ex novo nella società di accoglienza.
Ogni persona è un soggetto unico e irripetibile che entra in rapporto con il sistema sociale in base alla propria storia e alla disponibilità del sistema di ritenerlo un soggetto promotore di diritti piuttosto che di problematicità.
La nascita del ruolo di mediatore culturale segnala inequivocabilmente almeno due aspetti. Innanzitutto che il sistema sociale viene ad essere perturbato dalla presenza di culture specifiche e che il dialogo tra le culture non si sviluppa in maniera automatica ma necessita di meccanismi di supporto e di stimolo, ed è in tale contesto di difficoltà che nasce l’esigenza di attivare interventi di mediazione culturale, tesi da un lato a sostenere il processo di scambio con interventi sia di traduzione linguistica sia di interpretazione dei significati presenti nei messaggi culturalmente diversi; d’altra parte finalizzati ad aprire spazi di marginriconoscimento e di socializzazione con persone appartenenti al proprio gruppo etnico di provenienza.
La creazione di ponti linguistico/culturali di facilitazione della comunicazione migrante/servizi, insieme al tentativo di evitare che il migrante possa cadere in situazioni di auto-isolamento culturale e relazionale, sono, dunque, due tra le finalità di fondo degli interventi di mediazione culturale.




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