Racconto autobiografico e risoluzione dei conflitti

18
Feb

La narrazione come strumento di trasformazione del sistema culturale dall’origine alla costruzione del futuro per il migrante.

La narrazione autobiografica è un componente importante che ci aiuta ad interpretare come intervenire nella nostra vita quotidiana. I racconti si aprono alle relazioni per creare un dialogo di voci multiple. Ce lo dice Duccio Demetrio (1) e in seguito  tanti altri studiosi. Il racconto autobiografico è un percorso identitario.

Nel racconto si tentano soluzioni nuove e se ne sopportano le conseguenze, tese verso un altrove fra il dato e il possibile.
Il dolore trova parole, forme, immagini per esprimersi e partecipare nel dialogo ininterrotto che ci portiamo dentro. E questo dolore oggi lo portano in modo particolare i rifugiati, e nell’incontro con l’etnopsichiatria prendono cura della loro cultura, la loro lingua e famiglia attraverso a un passaggio narrativo dal valore terapeutico.
Quindi, il racconto nasce da un disequilibrio che fa irruzione nella successione abituale delle cose e che deve essere controllato perché diventi meno inquietante.

Il racconto di sé ci fa varcare il confine fra il dentro e il fuori, proteggendo il soggetto dalle aggressioni altrui e assicurando al funzionamento psichico la certezza della continuità e della coesione nel tempo. Ha una funzione di contenimento e ricomposizione per portare la ricostruzione dei ricordi dal rischio della dispersione. Nello stesso tempo aiuta ad alleviare le paure, lo stato d’ansia e la tensione nelle occasioni di separazioni da luoghi o persone amate, accompagna e rende più sopportabili le lunghe e forzate peregrinazioni della migrazione.

L‘esistenza sociale e personale, per mantenersi ha bisogno di responsabilità condivise, di uno sguardo rivolto al soggetto, accolto e considerato nel suo percorso privato e pubblico, ricco di altre sensazioni, oggetti, odori, legato ad altre forze, ad altri appuntamenti e patti di fedeltà. Il migrante non dovrebbe essere costretto a scegliere fra due appartenenze, altrimenti si trova diviso, lacerato, condannato a tradire o la sua patria d’origine o la patria di accoglienza, scelta che vivrebbe inevitabilmente con amarezza, con rabbia o malattia. 

Lo sanno molto bene i mediatori interculturali  di lunga esperienza che fanno parte delle equipe interdisciplinari, e aiutano i psicologi o gli esperti delle commissioni che si occupano nel valutare le domande di rifugio politico,  facendo sì che  il racconto  avvenga in modo spontaneo, senza forzature, chiaro e ricco di dettagli.

 

  • Testo di riferimento:  Studio di Novita Amadei (2)  “Raccontare per migrare”, tratto nella rivista Animazione Sociale. (maggio 2005)

Note:

(1) Duccio Demetrio (Milano, 6 marzo 1945) è un accademico e saggista italiano. Si occupa di pedagogia sociale, educazione permanente, educazione interculturale ed epistemologia della conoscenza in età adulta. E’ uno dei principali iniziatori dell’uso dell’autobiografia come cura di sé.

(2) Novita Amadei, scrittrice che vive da anni a Parigi e lavora nell’ambito delle migrazioni occupandosi di accoglienza dei rifugiati.

Bibliografia utile:

  • Demetrio Ducio. Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé. Editore: Cortina Raffaello, 1996.
  • AaVv. Raccontarsi per conoscersi. Il valore dell’autobiografia.  Sovera Edizioni, 2017;
  • Roberto Beneduce. Breve dizionario di etnopsichiatria. Editore: Carocci, 2008,
  • Ibrahima Sow. L’ io culturale. Dall’etnopsichiatria alla transcultura. Armando Editore. 2015,
  •  Piero Coppo. Le ragioni degli altri. Cortina Raffaello. 2013,



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