Rachid Khay, Genova. Mediatore e cittadino attivo

20
Dic

Quando abbiamo incontrato Rachid Khay a Genova, erano le 14.00 circa di una calda giornata di Agosto. 3 giorni dopo l’incidente del Ponte Morandi. Rachid abita il quartiere popolare di Certosa a un tiro di schioppo dal ponte. Era a inizio servizio di mediazione all’Ospedale Villa Scassi. Aveva la faccia tirata e gli occhi stanchi. Ci disse che era rimasto fino a tarda notte a fare volontariato al Ponte Morandi, distribuendo cibo e acqua ai volontari e soccoritori.  Questo impegno per gli altri e per la città riassume un po’ il personaggio e il percorso di Rachid. Uno che si è sempre dato da fare per gli altri e per la sua città: Genova.

Un impegno precoce

Rachid Khay è arrivato in Italia nel 1987. Era venuto per raggiungere suo padre, in Italia già dagli anni 70, per dare una mano nell’attività commerciale di famiglia. Ma lui non è il tipo a rinchiudersi in una sola attività. Già dal 90 con la sanatoria della legge Martelli, comincia a fare volontariato come mediatore e operatore per aiutare le persone a mettersi in regola. Lo fa con il Coordinamento delle Associazioni di Migranti di Genova.

In quegli anni, la situazione era molto confusa, le leggi sull’immigrazione erano scarse e le figure professionali che lavoravano al di fuori della prima accoglienza erano quasi inesistenti. La figura del Mediatore Interculturale era una idea poco precisa. Non c’erano formazioni, le amministrazioni non ne sentivano la necessità. Il mestiere era tutto da inventare.

A Genova bisogna aspettare il 1995 per vedere l’Ufficio Stranieri del Comune organizzare un primo corso di Mediazione culturale. Ma si parla di poche ore, un programma un po’ generico. Non bastava per formare dei veri e propri Mediatori.

Rachid in quegli anni era ancora impegnato nell’attività commerciale di famiglia, ma faceva un po’ di ore di mediazione a scuola. I ricongiungimenti famigliari portavano molti/e bambini/e e ragazzi/e freschi di immigrazione nelle scuole italiane. Bisognava aiutarli a inserirsi, aiutare la scuola e i genitori a comunicare, mettersi d’accordo. I mediatori erano lì per quello. Ne approfittavano per parlare di intercultura, di culture altre… Per aprire un po’ gli orizzonti della scuola alla mondialità. Lavora con la Cooperativa SABA di Genova. Una delle prime ad aver investito sull’accoglienza e ad aver creduto nella mediazione Interculturale.

Nel 2002 partecipa al Corso tenuto dall’Ente Isfor-Coop di Genova, per conto della Regione Liguria. Nel frattempo le normative sulla mediazione in Liguria si sono rafforzate e le formazioni hanno guadagnato in qualità e spessore. Prima ancora di finire la formazione, Rachid passa a lavorare come operatore di accoglienza e mediatore a tempo pieno.

Oltre al lavoro con la Coop. Saba, comincia a tenere uno sportello per conto dell’ARCI Genova. Entra a far parte dell’Arci e presto viene eletto come responsabile dell’Arci Solidarietà Genova. Il suo lavoro oggi si divide tra amministrazione e mediazione. Ma come lo dimostra il suo impegno con i soccorritori del Ponte Morandi, non ha mai smesso con l’impegno civile e il volontariato.

Alla domanda se considera che il mediatore interculturale abbia il dovere di impegnarsi nella vita culturale, sociale e politica della sua città, Rachid risponde: «Che c’entra? Questo è il dovere di ogni cittadino, non solo del mediatore»

Mediazione in Liguria tra alti e bassi

Sul mestiere della mediazione interculturale in Liguria, Rachid ha tanto da raccontare. Su come si è lavorato bene per un po’ di anni: scrittura di normative regionalidefinizione della professione, dell’iter formativo e delle competenze, istituzione di un’elenco regionale dei mediatori… E su come a un certo momento c’è stata una frenata. E “adesso sembra tutto fermo.”

– Quali sono i problemi più urgenti?

– «Mancano mediatori interculturali formati. Perché non si fanno più formazioni. Soprattutto a Genova. Nelle altre province ce n’è qualcuna, ma qui sono anni che non si formano più mediatori. »

– E allora come si affrontano le nuove emergenze?

– «Si affrontano con il solito strumento: l’improvvisazione. Mancano mediatori provenienti dalle aree delle nuove migrazioni. Quelli formati e iscritti all’elenco regionale sono pochi e provengono da nazionalità che sono ormai in Italia da decenni. Allora si prendono giovani, spesso loro stessi appena arrivati, che parlano le lingue del Mali, della Nigeria, del Pakistan… e si mandano allo sbaraglio, Senza formazione, senza niente.»

– Sul nazionale invece, quali sarebbero le cose da fare?

– «Ciò che si fa in alcune regioni (e che non si fa in altre) è fatto per coprire una mancanza di una politica nazionale in materia di accoglienza, inclusione sociale e mediazione interculturale. Se un giorno ci sarà una normativa nazionale, che definisce la professione del mediatore, indica le competenze che deve avere, la qualità e la lunghezza del percorso formativo, i campi d’intervento, le condizioni contrattuali, se si apre un albo nazionale della professione… Le regioni non dovrebbero più farlo ognuna a modo suo.»

Lasciamo Rachid prendere il suo turno di lavoro a Villa Scassi. La sera, dopo la cena con la famiglia e poche ore di riposo, tornerà a portare assistenza, acqua e cibo, ai soccorritori ancora al lavoro. Genova è ferita, ma affronta la tragedia con dignità, impegno e solidarietà. E Rachid dell’impegno e della solidarietà ha fatto un programma di vita.




  • Share: