Traduttore o mediatore interculturale?

18
Feb

Un contributo di Maria Mihaela Barbieru*

Arriva un momento nella vita professionale di un traduttore o di un interprete in cui deve gettare le armi di fronte ad un’impeccabile traduzione ma che si rivela essere un trasferimento inadeguato dei fatti o, per lo meno, un atto di comunicazione che priva il lettore o l’ascoltatore della dimensione linguistica e/o culturale importante.

Il semplice atto di traduzione o di interpretazione può, dunque, presentare ai soggetti interessati imprecisioni sullo svolgimento dei fatti e può, perfino, arrivare a distorcere la realtà.

Di fronte a questi casi, si dovrebbe preferire la mediazione linguistico-culturale alla traduzione e all’interpretazione.

Occorre considerare un altro aspetto: le persone migranti, che si trovino da sole o in gruppo o insieme alle loro famiglie, si esprimono, spesso, in un contesto difficile e, a volte, drammatico.

Dietro il fenomeno migratorio che assume varie forme, ci sono spesso storie di violenza, povertà, dittatura, fuga imposta, separazione o perdita della/del consorte e dello sradicamento dei legami affettivi.

Quando si varca il confine del paese ospitante, a causa di un’infinità di motivazioni, tutti questi dolori vengono accolti con atteggiamenti che variano dall’indifferenza ed ostilità fino all’empatia ed ospitalità.

Per la maggior parte dei casi segnalati sul territorio italiano (iracheni, persone provenienti del sud-est asiatico, africani vittime di guerre civili e, di recente, rifugiati siriani), l’atto di parlare può essere vissuto come un atto pericoloso, in quanto cercare di passare inosservati ha costituito, fino a quel momento, una strategia di sopravvivenza.

Occorre, altresì, considerare che le persone migranti riescono a stento a parlare proprio perché sono perfettamente consapevoli che far circolare delle informazioni che le riguardano può costar loro molto caro.

 Sempre in circostanze più o meno drammatiche, si ritrovano quelle persone che aspettano la loro regolarizzazione, persone che sono costrette a dissimulare la loro vera età, vittime o oppositrici di regimi politici, rifugiate nei paesi della Comunità Europea che le riconoscono come tali.

Di fronte a tali circostanze, occorre indubbiamente tradurre od interpretare ma occorre, altresì, andare oltre, varcare la soglia. Bisogna armarsi di competenze supplementari e diventare dei “ponti che facilitino l’accesso alle identità delle persone”.

Montaigne (1) descrive perfettamente questo concetto, con un pensiero sublime dedicato al mediatore interculturale:

“Esiste un’antica idea persiana, vera e altrettanto sublime, secondo la quale il cipresso, albero piramidale la cui punta imita una fiamma, non sia altro che il mediatore tra la terra ed il cielo”.

 

Note;

(1). Michel Eyquem de Montaigne (1533 – 1592) è stato un filosofo, scrittore e politico francese.

 

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(*)- Maria Mihaela Barbieru. 

Laureata in Filologia – Lingue Romanze, master conseguito presso l’Università degli Studi di Verona in “Intercultural Competence and Management – Comunicazione, gestione dei conflitti e mediazione interculturale in ambito aziendale, educativo, sociosanitario, giuridico, dei mass media e per l’italiano L2”, iscritta all’Albo dei Periti Tecnici e CTU presso i Tribunali di Milano e Monza, mi occupo di traduzioni giurate ed interpretariato nonché comunicazione e mediazione interculturale, docenza e consulenza linguistica aziendale.

Info: mbarbieru@hotmail.com




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