Vojsava Tahiraj, Parma. “Il Mediatore Interculturale è un catalizzatore e creatore di reti informali e non…”

18
Feb

Vojsava Tahiraj vive in Italia da 20 anni. Era arrivata per uno stage lavorativo in uno studio legale a Milano. Poi ci è rimasta per amore.

Lavora come Mediatrice interculturale dal 2001 e dal 2010 svolge il ruolo di coordinatrice del team di circa 25  di mediatori della cooperativa Mediagroup che gestisce i servizi di mediazione interculturale per il comune di Parma e una parte della provincia (servizi educativi, sociali, msna, carcere, famiglie…)

In più del lavoro, Vojsava è attiva nell’associazionismo cittadino ed in particolare con l’associazione “Scanderbeg” di Parma.
La sua  esperienza personale e di famiglia è messa sotto il segno della pluralità culturale, è per questo che ha sentito la necessità di aggiornare i suoi studi giuridici con un master in mediazione culturale e fenomeni migratori.

Mediatoreinterculturale.it l’ha intervistata per parlare della sua esperienza lavorativa nel campo della mediazione a Parma e della professione in genere.

L’intervista

Mediatoreinterculturale.it: – Secondo lei, qual’è la definizione più ” giusta” della professione del mediatore interculturale?

Vojsava Tahiraj: – Le definizioni per descrivere la nostra professione sono variegate, ma un mediatore linguistico interculturale soprattutto deve essere:
un tecnico della comunicazione in ambito interculturale, una persona preparata professionalmente ad essere un “facilitatore” della comunicazione tra l’immigrato e la sua nuova realtà nei diversi contesti che deve affrontare.

Egli deve essere detentore di una serie di conoscenze, di un sapere pratico che gli permettano di interpretare, e decodificare le domande per  favorire l’incontro tra storie, linguaggi, culture e stili comunicativi diversi.

Il mediatore è un catalizzatore e creatore di reti informali e non…

Mediatoreinterculturale.it: – quali sono le differenze tra queste tre professioni: educatore, assistente sociale, mediatore interculturale?

Vojsava Tahiraj: –  Penso che si debba partire da quello che accomuna queste tre professioni e cioè,  l’obiettivo di dare una risposta socio – educativa più completa e personalizzata possibile alle persone nei servizi  sempre più multiculturali. Questo obiettivo dipende, in-primis, dalle risorse e dalla lettura corretta della domanda e dei bisogni e di conseguenza della proposta. Tale elaborazione è completa se si espleta in collaborazione con tutte e tre le figure, ognuna con la propria chiave di lettura, in un’equipe multi-professionale dove il mediatore è parte stabile del team e non viene utilizzato a spot per una mediazione/traduzione qua e ora.

Mediatoreinterculturale.it: – secondo lei, con i nuovi flussi di richiedenti asilo, che ruolo assume il mediatore interculturale?

Vojsava Tahiraj: –  Ho rivisto poco fa il documentario “Anija” (La Nave) del  regista albanese, Roland Sejko e mi è sembrata la stessa immagine delle navi o barche di fortuna, o meglio della morte, che vediamo ancora arrivare a Lampedusa. Questa volta cariche di africani e non più di albanesi. Sono passati da allora 27 anni…
In tutti questi anni è cambiata la società, la sua composizione e, con fatica, sta cambiando anche la mentalità. La mediazione continua ad avere ancora il ruolo di tamponare le emergenze comunicative e di accoglienza, ma aiuta anche a costruire quella terra di mezzo fertile per un vero scambio tra le persone. Con la propria esperienza e conoscenza del territorio funge da trascinatore della proprio comunità verso una reale interazione, cercando di abbattere i muri della diffidenza reciproca e favorendo la conoscenza tra le diverse culture.

Mediatoreinterculturale.it: – Secondo lei, quali sono i punti di debolezza e i punti di forza del mediatore interculturale?

Vojsava Tahiraj: –  I Rischi o i punti di debolezza della Mediazione Linguistico Culturale sono collegati in maniera intrinseca alla mancanza di riconoscimento del ruolo a livello nazionale, e di conseguenza, ad una formazione unificata. Penso che quelli più importanti siano:
La presupposizione di sapere tutto del proprio paese e della cultura di appartenenza;
La difficile gestione dei processi d’identificazione con altri immigrati connazionali oppure anche con la società di accoglienza che non permette di conservare la giusta “distanza epistemologica“.
La non autorevolezza necessaria: il mediatore immigrato può essere delegittimato nel suo ruolo di operatore sociale dai propri connazionali, dagli altri immigrati oppure dagli stessi operatori italiani.
(punti importanti da sviluppare)

Penso che il punto forte per eccellenza nel lavoro del MIC sia l’arricchimento continuo dall’esperienza dell’altro, dalle storie di vita delle persone che incontra. Il mediatore ha il privilegio di conoscere e “sporcarsi” con vite altrui, ma solo se sa mettersi in empatia, mantenendo la giusta distanza e soprattutto se è in grado di elaborare e trasformare le proprie competenze esperienziali in competenze professionali nella narrazione dell’altro, questo bagaglio è per lui una grande risorsa e il suo vero punto di forza.

Mediatoreinterculturale.it: – quali sono le sue aspettative come Mi. per il futuro?

Vojsava Tahiraj: –  Sarò scontata ma, come maggior parte dei colleghi mediatori, svolgo da sempre questo lavoro con molta passione e mi piace pensare che abbiamo contribuito e contribuiamo alla creazione di una società più aperta, di scambio, di dialogo, più tollerante. Abbiamo aiutato a creare un patrimonio di competenze interculturali che vanno riconosciute nel momento in cui verrà riconosciuto il ruolo del mediatore linguistico culturale. Ormai, dopo 25 anni di esperienza e studi, per tanti di noi è una professione e non più un’improvvisazione.




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