A pensarci bene l’unico indizio che potrebbe rivelarlo non autoctono è il suo francese. Troppo perfetto nella pronuncia, troppo insindacabile nella scelta dei vocaboli, insomma un francese troppo amato per essere madrelingua. Cioè una lingua con la quale si ha confidenza fin dalle prime parole («il pappo e il dindi») e la si storpia e la si usa distrattamente anche dopo. Il professore, il filosofo, il poeta, l’Accademico di Francia non è infatti nato francese, ma lo è diventato in età adulta. François Cheng arrivò a Parigi a vent’anni senza conoscere una parola di francese e durante l’affollata conferenza che ha tenuto a Roma, all’ambasciata presso la Santa Sede, ha fatto cenno alla durezza dello scontro con una lingua tanto diversa dalla sua. «Possedere la lingua francese è stata per me una battaglia di tutta una vita. E alla fine sono diventato un altro, ma senza perdere la mia anima. E senza nessun senso di lacerazione: al contrario, con un sentimento di gratitudine. Io non sono che dialogo, il dialogo ci offre la sola possibilità che l’umanità possa raggiungere il suo posto nell’universo».
Patrick Valdrini, direttore del Centro culturale San Luigi dei Francesi che aveva organizzato l’incontro, gli ha posto allora una domanda elementare e monumentale: «Che consigli darebbe oggi a un immigrato?». E Cheng, un minuscolo signore di 79 anni che ha il garbo e la pazienza dei grandi maestri, ha detto: «Spesso chi va in un paese lontano a cercare lavoro, e lo trova, dice: “mi sono rifatto una vita”. Ma passa la sua vita a coltivare la nostalgia per la patria lontana. I miei primi dieci anni in Francia sono stati terribili, avevo un senso di perdizione. Ma rifarsi una vita vuol dire anche rinascere. Attraverso la lingua io sono entrato in un’altra cultura, quella francese, e poi anche in altre culture europee. Nel conoscere la migliore parte dell’Altro si conosce la migliore parte di sé». Oggi Cheng è considerato il più importante mediatore culturale tra la Cina e l’Europa. Secondo l’ex presidente della Repubblica Jacques Chirac «il suo itinerario tra Oriente e Occidente costituisce un’opera universale».
La conoscenza dell’altro da sé può talvolta costituire uno shock, racconta Cheng. Come nel 1960, quando venne per la prima volta in Italia e scoprì la pittura del Rinascimento. Da allora è tornato una ventina di volte: «sono diventato un pellegrino dell’oriente», dice. Ha studiato a fondo quel periodo storico, ha scritto una raccolta di poesie intitolata Cantos toscans. E in qualche modo si rifà a questa passione il suo ultimo libro (esaurito in Francia, non ancora tradotto in italiano) Pélerinage au Louvre: «perché, purtroppo per voi, i grandi capolavori del Rinascimento stanno quasi tutti a Parigi».
L’analisi della Gioconda, fatta alla conferenza ma contenuta anche nel libro Cinque meditazioni sulla bellezza edito in italiano da Bollati Boringhieri, parte dalla constatazione che la seduzione esercitata da questo ritratto non viene solo dall’armonia dei tratti della gentildonna, ma dal sorriso e dallo sguardo. E non è neppure giusto, secondo Cheng, davanti a un tale capolavoro interrogarsi sulla ragione del misterioso sorriso: “la bellezza è una sorta di epifania che nasce dal dialogo con l’universo. Con la Gioconda l’intenzione di Leonardo non era solo quella di rendere sulla tela i tratti di una donna. C’è stata in lui la volontà di trasmetterci il suo meravigliarsi davanti al miracolo dell’universo, quasi che la Gioconda ne fosse un’emanazione». Non è un caso, ha fatto notare Cheng, che Leonardo abbia rialzato il paesaggio raffigurato dietro la figura umana: nelle convenzioni dell’epoca la natura che fa da sfondo non supera mai l’altezza delle spalle della persona ritratta: nel caso della Gioconda invece arriva fino al livello degli occhi.
Alla domanda se l’Occidente gli abbia offerto chiavi di interpretazione che a noi forse sfuggono, Cheng ha risposto che la grandezza dell’Occidente è nata dal dualismo soggetto-oggetto, presente in tutta la nostra storia fin dai tempi di Platone: «l’osservazione dell’oggetto ha permesso lo sviluppo del pensiero scientifico, il porsi come soggetto ha dato vita al diritto e alla libertà. E anche alla meraviglia della ritrattistica, che la pittura cinese invece non conosce». Ma sulla quale Cheng ha scritto un libro illuminante.