Intervista a Zoulikha Laradji Signoretto- Torino

18
Feb

Zoulikha Laradji Signoretto è una storica mediatrice culturale algerina, attualmente responsabile del Forum  Provinciale e Immigrazione del PD a Torino. Da trent’anni si batte e per i diritti dei migranti e per il pieno riconoscimento della professione del mediatore interculturale. Specializzata in mediazione in ambito sanitario, è anche Presidente dell’Associazione di volontariato NOVA FAMILIA. Oltre ad essere relatrice di numerosi convegni sui temi dell’immigrazione e del dialogo interreligioso, è docente in Mediazione Transculturale presso l’area formazione professionale dell’Università Salesiana di Psicologia di Torino.

– Quando ha capito che la mediazione interculturale sarebbe diventata la sua strada?

Diciamo che è stato un percorso che parte da lontano. Io vivo in Italia da trent’anni anche se la mia non è la tipica storia di migrazione. Non avevo in mente di trasferirmi in Italia. Ma basta un soffio e tutto cambia. In Algeria ho conosciuto mio marito, un italiano che lavorava lì per un progetto…un po’ il contrario di quello che si potrebbe immaginare. Poi con l’arrivo dell’integralismo in Algeria sono stata costretta a lasciare il paese e ho scelto di trasferirmi a Torino, nonostante mio marito non fosse torinese. È nato il primo figlio e lì ho avuto un po’ di difficoltà senza una rete familiare che mi supportasse; dopo un po’ di tempo sono nati altri due figli. In questo periodo, sul tram ho conosciuto una suora che mi ha chiesto se potevo aiutarla al centro immigrati dove lavorava. Sono andata e lì ho trovato tutto un mondo diverso da quello a cui appartenevo, nel senso che io avevo una visione da privilegiata della migrazione. Lì ho trovato tante donne di diverse nazionalità; sono stata presentata alla responsabile della Caritas, una donna molto in gamba, che dopo aver operato per tanto tempo in Kenya si era resa conto che una parte di Africa e una parte di emergenza era anche in Italia. Così questa suora mi ha chiesto aiuto, mi ha proposto di lavorare con queste donne, di seguirle soprattutto durante i periodi difficili come una gravidanza o un parto. Mi sono avvicinata a questo mondo. Ho cominciato a parlare a queste donne, a indirizzarle. Dopo un po’ che lavoravo lì ho deciso che questo tipo di intervento era indispensabile anche in altri settori. La conferma è arrivata quando ho accompagnato una donna a fare una visita ginecologica e questa donna era infibulata. Una volta entrata in sala visite il dottore ha cominciato a chiamare altri colleghi per mostrare cosa aveva visto. Io mi sono molto arrabbiata perché non si può trattare una donna come fosse un fenomeno da baraccone. E da lì abbiamo provato a fare informazione negli ospedali, proprio ai medici. Ma la situazione era molto difficile perché noi eravamo solo volontarie, non riconosciute professionalmente. Allora abbiamo deciso di creare la professione; abbiamo organizzato dei corsi, un percorso di formazione. Devo dire che abbiamo puntato molto sulla sanità. Dopo un anno di formazione si è creato questo gruppo di donne, sedici, molto determinate e motivate. Questo è stato il mio primo approccio con il mondo della mediazione. Oggi, dopo tante lotte, è tutto cambiato. I mediatori hanno lavorato e lavorano, vengono apprezzati, vengono riconosciuti. C’è bisogno del ruolo dei mediatori.

– Parlando proprio della formazione dei mediatori, come si è evoluto nel tempo questo aspetto?

Diciamo che noi puntiamo molto sulla formazione del mediatore. Proviamo a prendere persone motivate, che hanno già un bagaglio culturale valido. Gente non arrivata ieri, ma radicata nel tessuto sociale, in grado di conoscere il territorio, la migrazione, la politica. Altro punto importante è l’omogeneità della formazione; ci vorrebbe una formazione standard. Ma è necessario anche che il professionista si aggiorni continuamente. Non avendo un albo diventa più difficile questa tappa, anche perché i diversi corsi di aggiornamento non vengono riconosciuti in termini di crediti aggiuntivi.

– Cambiando radicalmente tema, lei è stata da poco eletta responsabile del forum immigrazione regionale PD. Vuole parlarmi di questa esperienza?

È un’esperienza penso positiva, in primo luogo perché sono donna, in secondo perché musulmana e poi perché madre di tre figli italiani con un vissuto di trent’anni in Italia. Quindi spero di non limitare il mio lavoro solo a una figura di rappresentanza politica quando si tratterà di temi di migrazione. Il mio obiettivo è quello di lavorare sul campo, con le reti presenti a livello regionale e nazionale. Io voglio che il mio forum abbia dei momenti di incontro con la cittadinanza attiva sul territorio, e questo vuol dire coinvolgere anche le reti delle associazioni di immigrati, vuol dire coinvolgere i sindacati che si occupano di lavori di immigrati, vuol dire trovare con i politici linee guida su questo tema. Cercherò di dare voce all’emigrato lavorando molto sul territorio.

– Qual è il punto di forza della professione di mediatore interculturale?

Oggi il mediatore non viene visto solo come un componente del triangolo (utente – servizio – mediatore). Questo approccio va sfumando, in favore di una maggiore autonomia del professionista della mediazione. Il mediatore allora comincia ad avere una propria autonomia di gestione; ogni figura professionale ha la sua parte in un unico puzzle. Questo dà al mediatore la possibilità di crescere perché autonomia significa anche riconoscimento della professione.

– Qual è il punto debole della professione di mediatore interculturale?

Bisogna sempre lavorare per migliorarsi. Anche perché i contesti cambiano, la migrazione cambia. Ci sono stati, ci sono e ci saranno dei punti deboli; uno di questi senza dubbio è la formazione non standardizzata della professione. Ma è necessario sempre lavorarci su.

– Quali sono secondo lei le prospettive future per la mediazione?

La migrazione non si può fermare; da quando esiste il mondo esiste la migrazione, anche se i tipi di ciclo migratorio sono diversi. Per quanto riguarda l’Italia il caso è un po’ particolare, nel senso che l’Italia ha bisogno della collaborazione e dell’aiuto dell’Europa. Non intendo solo a livello economico. Ci vorrebbe una diversa strategia politica; l’immigrato arrivato in Italia dovrebbe poter circolare in Europa e dovrebbe poter trovare lavoro dove ce n’è di bisogno. Inoltre i flussi devono essere maggiormente regolarizzati. Ma questo è un compito che spetta più che altro alla politica.




  • Share: