La mediazione culturale un ponte per il Nursing Transculturale nei ambienti ospedalieri
La presenza in crescita degli immigrati e rifugiati negli ultimi anni, pone domande per gli ambienti ospedalieri per come affrontare la loro assistenza che è differente da quella autoctona. E non solo per i medici, ma anche per il personale infermieristico che si trova davanti agli ostacoli ogni giorno nei vari reparti.
Il Nursing Transculturale oggi, rappresenta l’assistenza infermieristica come una risposta dove interagiscono culture differenti. Vengono chiamati così per la prima volta nel 1977 da Madeline Leininger nel 1977.
Nel principio il Nursing Transculturale agisce nell’accoglienza a rispetto di ciascun individuo e riconosce i problemi prioritari di salute che colpiscono determinati gruppi culturali;
accerta il substrato culturale e delle credenze relative alle pratiche sanitaria ed elabora un piano di assistenza compatibile con il sistema di credenze sulla salute di ogni individuo.
Se si considera che il retroterra culturale influenza le azioni e le reazioni di ciascun individuo all’ambiente e alle situazioni nuove che si trova a vivere, non è difficile intuire come acquisire competenze transculturali rappresenti un ulteriore progresso per la professione infermieristica: un passo avanti verso l’erogazione di prestazioni assistenziali che, oltre a tutto il resto, non feriscano la dignità culturale, parte importante della dignità dell’individuo.
Come acquisire competenze transculturali?
Apprendere una lingua straniera: è impensabile conoscere tutte le lingue e da tanti anni è sempre più presente nei setting assistenziali la figura del mediatore culturale; nonostante questo, la conoscenza di una lingua straniera da parte del professionista infermiere è raccomandabile per colmare le difficoltà comunicative.
Fondamentale è conoscere le tecniche relazionali che aiutano a comprendere elementi che assumono valori differenti da persona a persona, ad esempio:
contatto visivo: il guardare in maniera prolungata negli occhi può rappresentare cosa gradita, oppure qualcosa di offensivo o di lesivo della propria intimità;
contatto fisico: ci sono culture che prevedono l’impossibilità per un uomo, seppur operatore sanitario, di eseguire un esame fisico su una donna, altre che vedono una forma di scortesia nel contatto della testa, poiché “contenitore” dello spirito, ecc.;
spazi e distanze: la riduzione dello spazio personale è spesso recepito come un disagio;
approfondire aspetti biologici e culturali: è opportuno acquisire familiarità con le principali differenze fisiche fra i vari gruppi etnici e con le principali credenze culturali e sanitarie per progettare un piano di assistenza adeguato (ad es. non trascurare il fattore alimentazione e come il cibo possa rappresentare una ricompensa o una punizione, prevedere il digiuno, l’eliminazione di determinati alimenti o rituali particolari);
coinvolgere l’assistito: al fine di conoscere i suoi modelli di coping e di favorire i rituali che la persona ritiene utili alla propria guarigione (qualora non controindicati e/o dannosi);
rispettare l’assistito: evitare di ridicolizzare, in forma verbale o non verbale, qualsiasi convinzione o pratica culturale e scusarsi con la persona se le credenze culturali vengono in qualche modo violate.
In grande aiuto agli infermieri, come abbiamo citato anche prima, sono i corsi di aggiornamento insieme ai mediatori culturali i quali contribuiscono a capire e conoscere meglio le culture ( comprendere la malattia, l’igiene, l’alimentazione, la cura e anche la morte) di provenienza degli assistiti (o pazienti), in un contesto culturalmente sensibile e rispettosa.