La mediazione sociale e interculturale in Francia

18
Feb

Storia dell’affermazione di una figura professionale necessaria

Un contributo di Valeria Bordonaro*

Dopo un’esperienza di quattro anni in Francia, dove ho studiato la mediazione sociale, decido di tornare in Italia e di continuare a lavorare in questo settore, mettendo a disposizione ciò che ho imparato e vissuto all’estero.

Una breve chiacchierata con il Signor Blenti Shehaj, Presidente dell’A.M.M.I. (Associazione Multietnica, Mediazione Interculturale) mi fa capire che quella figura professionale, cosi ben affermata in Francia, non è poi tanto riconosciuta in Italia.

Così decido di fare un percorso a ritroso per capire come, oltralpe, il mediatore sia diventato essenziale in tutto ciò che riguarda i servizi di pubblica utilità (dalla sanità, ai comuni, ai servizi di consulenza giudiziaria, ma anche nella quotidianità, con eventi organizzati e accessibili a tutti).

Relais o punto intermedio

Il termine relais in francese è il punto intermedio tra due altri punti. Anche se il ricorso alla mediazione in Francia ha inizio negli anni 90, non possono non mancare degli esempi in tutto il mondo: come nel caso in cui il vicino di casa, amico o conoscente aiuta nelle pratiche amministrative, quando ci si reca dal medico o al comune, facendo appunto, da mediatore, da ponte, tra due persone per aiutarle nella reciproca comprensione.

I* crisi dello Stato-provvidenza e decentralizzazione delle politiche sociali

Il flusso migratorio che ha segnato la Francia è ed è stato sicuramente più forte di quello italiano, portando oggigiorno la Francia alla quarta generazione di migranti. É nel 1975, con la crisi petrolifera e dello “Stato provvidenza” (circostanza che ha provocato un alto tasso di disoccupazione, colpendo soprattutto le famiglie già in difficoltà e, soprattutto, i gruppi immigrati) che la Francia decide di iniziare un processo di decentralizzazione delle politiche sociali verso i Dipartimenti, togliendo allo Stato il peso di una società ormai troppo complessa e articolata.

Questo contesto ha fatto sì che, negli anni ‘80, si sviluppasse nei Dipartimenti una sorta di specializzazione e conoscenza del proprio territorio che è, poi, sfociato nella nascita delle “zone urbaines sensibles” (zone urbane sensibili) del 1982, con la Politique de la Ville: finanziamenti di ingenti somme di denaro, per la riqualificazione di quartieri e zone giudicati più sensibili dal punto di vista economico ma anche come svantaggiati a causa delle scarse possibilità di riuscita e di sviluppo. I settori toccati dalla Politique de la Ville, sono quelli del lavoro, abitazioni, riuscita scolastica, salute e sicurezza. (I settori toccati dalla Politique de la Ville, sono i fondamenti su cui si basano, ancora oggi, le politiche sociali per l’integrazione (collocamento, diritto alla casa e all’istruzione, sanità e pubblica sicurezza). Questo sistema però non è stato sufficiente, soprattutto nel settore degli alloggi sociali, dei trasporti e per la lotta alla discriminazione perché mancava una partecipazione della regione e dello Stato che ha portato a un inegualità strutturale e che è sfociata nelle émeutes (1) di fine anni ‘80, inizi anni ‘90.

Nuovi attori sociali e “grandi fratelli”

E’ in questo contesto che cominciano a fare capolino dei “nuovi attori” sociali, come i “grands frères” (grandi fratelli), persone provenienti dai quartieri sensibili che lavoravano nei trasporti o nelle strade, cercando di sfruttare i finanziamenti della Politique de la Ville per farsi riconoscere professionalmente e operando per sensibilizzare al civismo, la vita in società e a un comportamento da cittadino.

Il problema emerso per i “grands frères” é stato sicuramente la selezione del reclutamento, per appartenenza etnica o territoriale, raramente accompagnata da una formazione adeguata. Questa figura professionale indefinita e non riconosciuta come tale, venne completamente ignorata e abbandonata dalle istituzioni pubbliche, provocando un grande risentimento in queste persone che invece si battevano per la tranquillità pubblica e per la lotta alla discriminazione.

Portatori sani di saperi

Un’altra figura professionale che si avvicina molto al mediatore sociale e culturale, in Francia, è nata negli anni ‘80. Questa figura è chiamata “femmes-relais”: donne di origini ed etnie varie, che si erano organizzate, prima individualmente e poi in associazioni, e che agivano in base alle loro esperienze personali, aiutando vicini e abitanti del quartiere a sbrigare le loro pratiche amministrative presso gli uffici competenti. Le “femmes-relais” riuscivano a mediare grazie alla loro coscienza della cultura di provenienza e della cultura che le ospitava, creando così una certa fiducia nelle istituzioni che venivano viste come lontane e ostili. Ma ancora in questo periodo la riconoscenza di questa professione viene rifiutata dal Ministero degli affari sociali.

Qualche anno più tardi (nel 2000), proprio fondandosi su questo principio, c’è stata la creazione della circolare “adultes-relais”, una figura professionale basata su questo Saper-essere e saper-fare e sulla vicinanza dei mediatori alle fasce della popolazione in difficoltà. In pratica, questo tipo di contratto dà la possibilità alle strutture che propongono progetti di mediazione, di usufruire di finanziamenti da parte dello Stato. Così queste figure vennero inserite nell’ambito sanitario, nell’educazione, nei trasporti pubblici e presso i servizi di mediazione giuridica.

Il riconoscimento ufficiale

Ed é proprio a partire degli anni 2000 che la mediazione comincia ad essere veramente riconosciuta, soprattutto grazie ai poteri pubblici. Per esempio, in occasione del seminario europeo “Mediazione sociale e nuove modalità di risoluzione dei conflitti della vita quotidiana”, che si è tenuto a Creteil, nelle banlieu parigine, dove hanno partecipato quarantadue esperti di dodici Stati Membri della Comunità europea, invitati dalla Delegazione interministeriale della città si sono accordati su una definizione condivisa della mediazione. Un evento, questo, culminato, nel 2001, con la redazione e pubblicazione della Carta deontologica della mediazione.

A seguito di questi eventi, il centro di ricerca Cepah (centre de réalisation et d’etude pour la planification, l’amenagement et l’habitat) ha individuato cinque campi d’intervento del mediatore: sociale, culturale, urbano, nell’educazione e interpretariato. Da qui sono nati dei corsi di formazione professionale con diplomi riconosciuti dallo Stato francese e con validità anche nell’Unione Europea.

Lo sforzo successivo è stato fatto nel 2005, quando il Segretariato generale del Comité de la Ville, nell’ambito di un piano di coesione sociale, in un rapporto pilota sulla mediazione(detto DGAS) (2) raccomanda al Ministro degli alloggi sociali, di prendere in considerazione e formalizzare il DGAS e la guida sulla mediazione.

Il tutto è stato reso pubblico e riconosciuto il 27 marzo 2008.

Il saper-fare e il saper-essere del mediatore hanno sicuramente radici nelle sue esperienza di vita personale ed è per questo che un mediatore, sociale, culturale o in ambito scolastico, ha un campo d’intervento spesso indefinito a livello di confini e di campi d’intervento e competenze. Un mestiere che richiede una certa dinamicità e versatilità e che oltralpe è stato riconosciuto come mestiere necessario e indispensabile contro le discriminazioni e la tranquillità sociale dal Ministero della coesione sociale ma anche dalle più grandi aziende francesi e cooperative che lavorano nell’ambito del sociale.

é un processo di creazione e riparazione del legame sociale e della regolazione dei conflitti della vita quotidiana, nel quale un terzo imparziale e indipendente, tenta attraverso l’organizzazione di scambi tra le persone o le istituzioni di aiutare a migliorare una relazione o di regolare un conflitto che li oppone”.

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Note:

(1). Manifestazione spontanea, generalmente violenta provocata da un’emozione collettiva.

(2). DGAS, verso la professionalizzazione del mediatore sociale.

Fonti:

Autrice:

  • Valeria Bordonaro é una mediatrice sociale specializzata nell’accesso ai diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Laureata in  Sociologia (curriculum socio-antropologia ed etnologia dei fenomeni religiosi), diplomata in Mediazione Sociale presso l’AFPA di Creteil.

Durante il suo percorso formativo ha lavorato con il servizio richiedenti asilo della Croce Rossa francese, con France Terre d’Asile e Emmaus Connect. Attualmente sta partecipando a un laboratorio di ricerca sul « Vivere la diversità a Torino » organizzato dal Centro Interculturale del comune di Torino.

 

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  1. Il dossier la Mediazione Interculturale in 6 paesi della Comunità Europea.
  2. Nello specifico “Mediazione interculturale in Francia”



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