L’arte del mediare

18
Feb

La mediazione culturale tra interrogativi e nuove sfide

Mediare: (dal latino tardo mediatio – onis) azione esercitata da una persona (o anche da un ente, un’associazione, una collettività, una nazione) per favorire accordi fra altre o per far loro superare i contrasti che le dividono.

Parafrasando Jean-François Six, Presidente del Centre National de la Mediation di Parigi [1], la mediazione ha quattro grandi caratteristiche:

  • la mediazione è creatrice (perché in grado di creare legami nuovi tra persone); la mediazione
  • è rinnovatrice (in quanto riparatrice di legami deteriorati); la mediazione è preventiva (poiché può prevenire il conflitto);
  • è curativa (perché aiuta le parti in conflitto a trovare una soluzione).

Come possiamo notare tutte queste caratteristiche tendono a creare una comunicazione tra le diverse unità ed è proprio in questa circostanza che entra in gioco la figura professionale del mediatore.

Oggi, in seguito ai grandi flussi migratori e alla globalizzazione, è la mediazione interculturale che ha un compito ostico seppur necessario. Il mediatore interculturale è una figura professionale che svolge attività di mediazione tra gli immigrati e i servizi del paese ospitante, con lo scopo di facilitare una comunicazione e una comprensione reciproca. Una sorta di ponte, potremmo dire, tra culture differenti.

I campi sui quali interviene la mediazione interculturale sono diversi; è erroneo infatti accostare la figura del mediatore a quella del traduttore. Il mediatore interculturale non si limita a fornire un supporto di tipo linguistico, ma si impegna a creare uno spazio intermedio (tra le due culture) di condivisione e di ascolto reciproco. Uno spazio che consente a entrambe le parti di comunicare quali sono le richieste, le necessità. A questo proposito, uno stereotipo diffuso è quello che vede nell’utente immigrato i bisogni e nel servizio le risorse. Il compito del mediatore culturale è anche quello di reinterpretare come risorse utili i bisogni dell’utente, garantendo un arricchimento ad entrambe le parti. Arricchimento che è sostanzialmente di tipo culturale ed esperienziale.

Quindi il mediatore culturale diviene creatore di cultura e di esperienza condivisa. All’interno di questa triade (servizio – mediatore culturale – utente), il mediatore crea dei legami, di tipo lavorativo nei confronti di chi eroga il servizio e di tipo etnico-linguistico nei confronti dell’utente, che devono essere necessariamente deboli in entrambe le direzioni. Il mediatore deve mantenersi equidistante e imparziale.

  • Ma è sempre possibile?
  • Nei casi in cui l’utente immigrato chieda esplicitamente o implicitamente al mediatore di tacere riguardo a condizioni o situazioni che lo metterebbero in difficoltà nell’ottenere il servizio richiesto, come dovrebbe comportarsi l’esperto di mediazione?

La fedeltà verso l’ente che offre il servizio è messa a rischio dal senso di appartenenza e vice versa. Questo tema, come molti altri, è ben presente all’interno delle esperienze lavorative di molti mediatori ma forse non è stato sufficientemente trattato e analizzato dalla letteratura corrente.

Molto spesso questa professione così cruciale all’interno di un mondo in continuo movimento non viene valorizzata e analizzata come si dovrebbe, lasciando i mediatori in una sorta di limbo. Recentemente diversi mediatori culturali hanno lamentato la situazione caotica e precaria del loro lavoro. Oltre alla disorganizzata e non standardizzata formazione, uno dei temi caldi riguarda la precarietà nella quale vivono quotidianamente i professionisti della mediazione culturale, dovuta fondamentalmente all’assenza di norme che tutelino la professione e alla mancanza di un vero e proprio albo che permetta di analizzare l’entità del fenomeno su scala nazionale.

La mediazione interculturale, così come la professione del mediatore, si è imposta all’interno della società occidentale recentemente, con l’entrata nella seconda fase del ciclo migratorio. È considerando questo dato che si potrebbe ipotizzare l’esistenza di un futuro più roseo e meno caotico per la mediazione interculturale e per i mediatori, immaginando nuovi traguardi e nuovi obbiettivi ai quali tendere.

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Note:

[1]. Jean-François Six (1929) prete cattolico, teologo francese molto impegnato sul tema della mediazione dei conflitti. Fondatore, nel 1988), e direttore del “Centre national de la médiation” di Parigi.

Libri:

  • J-F. Six, V. Mussaud. Médiation, Seuil, 2002;
  • J-F. Six, Le Temps des médiateurs, Seuil, 1990, (ripubblicato nel 2001).

 

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