Per i comunitari reddito minimo, o espulsione

Per i comunitari reddito mini
di Francesco Grignetti – La Stampa, 9 maggio 2008
Sono giorni che i leghisti insistono su questo tasto. C’è tornato sopra anche Umberto Bossi a chiusura del primissimo consiglio dei ministri di ieri. E non è un caso se Bobo Maroni, neoministro dell’Interno, vestito scuro e pochette verde, a sera si sia presentato al Viminale per un velocissimo cambio delle consegne. Un’ora di colloquio, prima con il suo predecessore Giuliano Amato, poi con il capo di gabinetto Gianni De Gennaro.
In testa, il ministro ha ben presente la priorità delle priorità del nuovo esecutivo: dimostrare agli italiani il pugno di ferro verso l’immigrazione clandestina. Ed ecco che annuncia “misure urgenti”. Lascia capire che quanto prima ci sarà un Pacchetto Sicurezza. Già dalla settimana prossima si vedrà con i colleghi di Esteri, Difesa e Giustizia. Ci sarà un giro di vite, è evidente.
E si comincia con gli immigrati comunitari, i rom con passaporto rumeno: una delle idee è fissare una soglia minima di reddito da dimostrare all’atto di richiedere la cittadinanza. Secondo requisito annunciato, la rispondenza ai requisiti di abitabilità delle residenze indicate. Se non ci sarà l’uno e l’altra, e cioè non potendo più indicare una baracca o un ponte come proprio indirizzo, e dovendo dimostrare le fonti legali di reddito, i sindaci potranno negare il certificato di residenza al nuovo cittadino originario di un Paese Ue. Passo successivo, dopo novanta giorni di libero soggiorno, ma senza avere ottenuto la residenza, scatterebbe la possibilità di allontanamento coatto. Cioè di rimpatrio.
Questo prevedono le Direttive europee, questo non aveva voluto fare il precedente governo di centrosinistra (che aveva indicato tra i motivi di allontanamento solo il pericolo per la sicurezza e per l’ordine pubblico, non i motivi economici). Ma i leghisti, nel loro piccolo, e cioè con un’ordinanza del sindaco Massimo Bitonci di Cittadella (Padova), ora deputato a furor di Lega, ci avevano già provato a fissare i paletti per concedere la residenza. Bitonci si era ritrovato indagato, ma nel frattempo era diventato un’icona del Parlamento del Nord. Era poi insorta la ex maggioranza: Amato si era opposto e soprattutto la sinistra radicale aveva trovato immorale l’iniziativa.
Ma ora c’è un leghista al Viminale. E le strategie della Lega, partito politico attento al territorio, ripartono da qui. Maroni, ieri, al momento del giuramento, qualcosa ha fatto capire. Innanzitutto la sua grinta. “Sono felice – ha detto – di tornare al Viminale dove ho vissuto una breve ma intensa esperienza 14 anni fa. Un ministero solido e molto efficiente, dove troverò persone che ho già conosciuto e che hanno grandissima capacità e professionalità”. Tra le persone che apprezza, si sa che ci sono De Gennaro e l’attuale capo della polizia, Manganelli. Ritrova poi il prefetto Angela Pria, che è stato suo capo di gabinetto nei cinque anni dei Welfare e che attualmente si occupa – guarda caso proprio di immigrazione.
I due problemi, sicurezza e immigrazione, secondo i leghisti sono legati indissolubilmente. Maneggiando l’una, si incide anche sull’altra. All’opposto, lasciando campo libero ai clandestini, si ottiene come risultato un gran senso di insicurezza. Pure a prescindere dai risultati concreti, quelli che certifica l’Istat. E infatti, se Maroni pure concede ad Amato di aver fatto qualcosa di buono, la sua accusa è di avere lasciato crescere il senso d’insicurezza proprio perché nulla di serio si faceva contro i clandestini. È da qui, quindi, che si riparte.
Aprendo nuovi Cpt e estendendo quelli attuali. Ricominciando con grandi numeri in espulsioni coatte. A Roma, ad esempio, dove l’attuale Cpt era stato ridimensionato in capienza, la prima richiesta nel nuovo sindaco, Gianni Alemanno, è di farlo funzionare a pieno regime. Il che è appunto quanto Maroni ha intenzione di fare.




  • Share: