Estranei e islamici – tratto dal libro del politologo italiano, Giovanni Sartori.
Nel suo libro, Sartori parla della buona società che è un tema cruciale della teoria della politica rimesso in discussione dalla pressione migratoria sull’Europa; un tema cosi calda per le decisioni che dovrà assumere la Unione Europea per gli spostamenti in massa di un grande continente com’è l’Africa. Un analisi sua dalla quale risulta che il multiculturalismo non persegue una integrazione differenziata, ma una disintegrazione multietnica. Su questa premessa il libro chiede fino a che punto la società pluralista può accogliere senza dissolversi ” nemici culturali ” che la rifiutano.
Il Libro è suddiviso in tre parti : Pluralismo e Società libera; Multiculturalismo e Società smembrata e la terza su Estranei e islamici.
In questa ultima parte, ci fermiamo portando una panoramica generale del mondo islamico, partendo dalla nozione di Islam e di islamismo che Eleonora Modesti è riuscita a portare in un riassunto di questo saggio, e che secondo il nostro avviso ( i redattori del sito) servirà a tanti operatori sociali che lavorano nel mondo dell’accoglienza dei rifugiati.
Sartori, spiega lei, lo fa per rispondere ad una larga fetta di arabisti e arabo-fili che lo hanno accusato di non intendersi dell’Islam e di avere una visione statica e rigida dell’immigrato.
La parola araba islam vuol dire abbandono, si sottintende ad una volontà divina. E la parola ha due referenti: da un lato la religione fondata da Maometto in nome di Allah e dall’altro il sistema giuridico, politico, sociale e culturale che ne deriva. Il Corano è l’elemento fisso; il diritto islamico quello variabile. Mentre in occidente il diritto è autonomo, in terra islamica è eteronomo: nasce e resta intriso di religione. Musulmano vuol dire aderente all’Islam e c’è distinzione tra Stati musulmani e Stati islamici:i primi aderiscono all’Islam meno e anche meno rigidamente dei secondi. Non tutti gli stati musulmani sono islamici e tra l’altro Stato musulmano può semplicemente indicare uno stato la cui popolazione è di religione musulmana e nulla vieta che uno stato di musulmani sia al tempo stesso uno stato laico ( ved Turchia). L’Islam nasce come una fede universale armata e guerriera. Le altre religioni affidano la loro espansione al proselitismo missionario, l’Islam no. Nella visione islamica il mondo si divide tra terra di Islam e terra di guerra santa che il credente deve conquistare alla fede. Il primo punto è dunque che la rinascita dell’islamismo autentico porta con sé un dovere di conquista degli infedeli. Un secondo punto di forza è che nessuna religione contemporanea ha la pervasività dell’islamismo; la sua legge sacra è onnipervadente, non accetta nessuna sfera extra-religiosa. Quasi tutti gli immigrati di prima generazione si sono sentiti in terra estranea, hanno sofferto di sradicamento e si sono protetti raggruppandosi in comunità di vicinato ma l’isolamento e l’emarginazione dell’immigrato islamico sono particolarmente acuti. Anche perché il suo livello culturale è in genere molto più basso di quello degli indiani e in generale degli asiatici il che comporta che al di fuori della sua fede e della sua identità religiosa non dispone di nessuna difesa culturale, ma gli viene in soccorso una religione altamente protettiva. Infatti l’islamismo è una fede particolarmente pubblica e collettiva, la moschea è molto di più che il luogo di culto e di preghiera, è il luogo nel quale i musulmani si ritrovano insieme come comunità, è l’esperienza che lo contrassegna. Il musulmano si vuole integrare? È, secondo Sartori, un quesito diverso da quello che si pone per le altre identità culturali….” L’Islam, nel materiale grezzo che esporta in Europa, non possiede tale flessibilità e nemmeno la incoraggia.” La scuola a tal proposito si rivela essere di importanza decisiva anche in questo caso e anche perché si può ben notare che nei giovani nati in Europa l’osservanza religiosa si attenua. Se non che, osserva Sartori, la scuola che “formava”è a brandelli e serve più a poco, senza contare che la scuola pubblica è in progressiva erosione.
Ricapitolando Sartori sostiene che chi lo accusa di avere una visione statica e rigida dell’immigrato fraintende le sue teorie. Il suo argomentare non presume che il musulmano sia un fondamentalista a casa sua e cioè in partenza; dà anzi per scontato che non lo sia. Il che non toglie che lo possa diventare una volta arrivato in occidente proprio perché lo sradicamento gli lascia il solo rifugio della fede e della moschea. E oggi il fondamentalismo islamico si concentra e annida proprio lì. Pertanto nella misura in cui l’infiltrazione riesce nella stessa misura sarà proprio in terra europea che la comunità islamica si rafforzerà, in isolamento, nel suo fideismo; un fideismo e una ghettizzazione che saranno ulteriormente rinforzati dall’eventuale arrivo di scuole islamiche plaudite dai multiculturalisti. Dopo aver chiarito nel suo libro quale sia la teoria del pluralismo, ricostruendola nei suoi rapporti con la teoria della tolleranza e del consenso, Sartori, nell’appendice, approfondisce la gestione quotidiana del pluralismo, nei suoi risvolti pratici e contingenti. Per il pluralismo la società ottimale è quella integrata, ma per capire fino in fondo tale concetto l’autore sente di dover analizzare alcuni concetti che denotano stati e processi del convivere. Assimilazione:vuol dire rendere simili. È questo l’obiettivo del pluralismo? No. Ma l’argomento dipende dall’entità delle somiglianze-dissomiglianze nelle quali ci si imbatte. Pluralismo e assimilazione possono anche convergere, ma è sbagliato confondere le due nozioni e renderle intercambiabili.
Acculturazione: è l’aspetto specificatamente culturale di una assimilazione e investe soprattutto i valori del linguaggio di coloro che entrano in una cultura diversa. È spesso vero che troppa distanza e eterogeneità culturale ostacolano l’integrazione e la mettono in difficoltà ma molto dipende dal tipo di acculturazione:
-Acculturazione linguistica
-dei valori religiosi
-dei valori domestici
-dei valori politici
Qual è allora la acculturazione necessaria e che aiuta la comunità pluralistica? Secondo Sartori è l’acculturazione nei valori politico-sociali dell’Occidente e quindi nel valore della libertà individuale, delle istituzioni democratiche e della laicità intesa come separazione tra stato e chiesa.
Sartori poi si interroga su quale sarà il destino socio-economico degli immigrati, vale a dire, riusciranno anche loro a salire i gradini della scala della stratificazione sociale?O resteranno a terra ai loro livelli di arrivo? Questi quesiti, secondo l’autore, prescindono dalla cittadinizzazione dell’immigrato; la sua inclusione politica è irrilevante poiché ottenere una nuova nazionalità non equivale in nessun modo ad acquistare nuove capacità e volontà di lavoro.
Il mercato del lavoro globalizzato è per forza un mercato la cui competitività si fonda sulla tecnicizzazione sulla smaterializzazione dell’economia, che lascia indietro chi sa soltanto lavorare a mano. Negli Stati Uniti, ad esempio, vanno avanti gli indiani e in generale gli asiatici che esportano un personale di lavoro altamente qualificato o altrimenti lavoratori straordinari in tenacia e applicazione. Non vanno avanti invece i latinos nonostante tutti gli sforzi della affirmative action.
Per l’immigrato di prima generazione l’arrivo in un paese della cuccagna viene in genere vissuto come una fuga riuscita dalla fame se non anche dall’inferno, ma il paragone tra la realtà passata e quella presente viene fatto solo dalla prima generazione, nei figli e nei nipoti sbiadisce. E dunque di questo passo arriveremo alla città invivibile per tutti.( ved favelas di Rio de Janeiro, le bidonvilles, le piccole Soweto europee)