Riflessione: Giorno della Memoria, mediazione e intercultura

18
Feb

Dopodomani, 27 gennaio, si celebra il Giorno della Memoria. Un giorno dedicato alla rievocazione degli orrori commessi prima e durante la seconda Guerra Mondiale nei confronti delle alcune minoranze culturali e sociali. Come sito dedicato al mondo della Mediazione Interculturale abbiamo l’obbligo morale di onorare questo giorno, vi raccontiamo perché.

Cosa rappresenta il Giorno della Memoria?

Il 27 gennaio è una ricorrenza istituita dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005, Fu intitolata Giorno della Memoria perché serve alla commemorazione, cioè rievocare la memoria di quelli che furono gli orrori della seconda Guerra Mondiale, in particolare di ciò che fu chiamato l’Olocausto: l’arresto e la confisca dei beni, la deportazione, i campi di concentramento, i lavori forzati, i maltrattamenti, le umiliazioni, e infine il piano di sterminio di ebrei, rom, testimoni di Geova, oppositori politici, omosessuali e disabili da parte dei regimi nazisti e fascisti d’Europa.

Perché il 27 gennaio?

La cancellata del Campo di Auschvitz, con la scritta cinica: “Arbeit macht Frei”, il lavoro rende liberi.

La data scelta per il Giorno della Memoria è il 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa avanzando verso Berlino si imbatterono in un luogo molto particolare, di cui il mondo aveva malapena sentito parlare: il campo di concentramento di Auschwitz. Aprendo i cancelli di quel luogo, l’umanità scoprì la sostanza e la dimensione dell’orrore, chiamato dal regime nazista: “La Soluzione Finale“.

Cosa c’entra con la Mediazione Interculturale?

L’olocausto in Europa, ma anche i massacri commessi dall’esercito giapponese in Asia, sono il frutto della negazione di tutto quello che rappresenta la Mediazione Interculturale: dialogo e interazione positiva tra diversi.

Verso la fine del XIX° secolo, lo sfruttamento coloniale in Africa, Asia e America Latina, indispensabile per la veloce crescita industriale, si scontra con le aspirazioni di libertà, uguaglianza e democrazia che permeano il pensiero politico e filosofico dell’epoca. Per giustificare la continuità della schiavizzazione di più della metà della popolazione mondiale, cominciano a “fiorire” le teorie “razziste”: la superiorità razziale. Gli uomini, secondo queste teorie, non nascono uguali. Ma sono divisi in “razze” gerarchicamente diverse. Ci sono “razze superiori”, chiamate a comandare. E ci sono “razze inferiori” che devono essere sottomesse con la forza. Questo è il suco delle teorie pseudo-scientifiche razziste. Il diverso va sottomesso o eliminato, punto. Quindi: violenza invece di dialogo e dominazione invece di interazione e convivenza pacifica.

Non è un caso se la cultura della mediazione e dell’Interculturalità, anche se preesistenti nelle società sotto forme informali, si rivelano come urgenti e indispensabili proprio dopo il secondo conflitto mondiale. Quello più distruttivo. Ci sono voluti circa cento milioni di morti e due continenti quasi rasi al suolo per capire che la cultura dell’odio e della violenza portano solo morte e distruzione. Mediare vuol dire gestire i conflitti in modo non violento, cercare soluzioni e compromessi che possono convenire a tutte le parti. L’Interculturalità è l’arte di favorire l’interazione positiva tra diversi. Tutta un’altra visione del mondo e della vita.

Giorno della Memoria oggi

Purtroppo l’umanità ha la memoria breve. Le lezioni della Storia non si ritengono per sempre. Il tempo guarisce le ferite e fa dimenticare i dolori. E poco a poco la tentazione della violenza come mezzo di potere e di dominazione degli altri torna a impadronirsi dell’uomo.

Oggi la crisi multidimensionale (economica, certo, ma soprattutto politica, culturale e di valori) che vive il pianeta, porta di nuovo la cultura dell’odio e della violenza in primo piano. Ovunque crescono movimenti e ideologie che vedono nell’ “Altro” la causa di tutti i loro problemi. L’odio razziale ha spesso lasciato posto a quello che viene chiamato identitarismo. La presunzione di superiorità dei nuovi radicalismi non è più declinata in termini di superiorità della “razza” ma della “cultura” (“civiltà”, religione, lingua…).

Oggi si è pronti ad uccidere per la “identità”, per difendere la “purezza” della propria cultura. Cambiano le motivazioni ma il risultato resta lo stesso: odio, distruzione, morte.

Chi lavora nella mediazione sociale e interculturale oggi ha tanta carne sul fuoco. C’è tanto da fare. Soprattutto in ambito educativo. Perché tutto comincia dall’educazione. Ma non solo. C’è da fare a vari livelli.

C’è da lavorare perché il dominio della cultura dell’odio sia confinata nella memoria del passato e non diventi storia del presente.




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