«Integrazione significa armonia»

Genova- Ergo Sum – Le barriere sociali impediscono l’interscambio, ma quando cadono si sviluppa la cultura. L’intercultura è alla base nei rapporti quotidiani, soprattutto nelle giovani generazioni, quelle che si stanno formando in questo periodo nelle nostre scuole. Intercultura significa scambiare comunicazione e informazione tra due o più persone che hanno usanze, tradizioni e stili di vita diversi. Nel pieno della rivoluzione tecnologica e della globalizzazione, l’interculturalità rappresenta anche l’evoluzione della nostra stessa cultura.
Cosa fa una città come Genova per migliorare questa comunicazione? Nonostante una apparente chiusura, mai come adesso si sente l’esigenza di promuovere nuovi scambi culturali, soprattutto tra giovani. Da un lato le istituzioni e la diplomazia lavorano a creare rapporti macroeconomici e macroculturali, dall’altro persone comuni cercano di diventare veicoli per il miglioramento della vita sociale. Persone modeste che, attraverso il loro quotidiano, sanno attingere ad informazioni e mettono in relazioni gruppi che, apparentemente, non hanno nulla in comune.
Il miglioramento della qualità dei rapporti rappresenta il futuro, soprattutto per una società multietnica come quella che si sta formando in Italia.
Abbiamo sentito il parere di due operatori: Vilma Bonezzi (V), insegnante che garantisce il suo supporto al “Progetto Integrazione – L.E.T.Presente e Futuro” presso l’I.P.S.I.A. “A. Meucci” di Genova e Alketa Llani (A), mediatrice culturale albanese.

Che cosa significa per voi intercultura?
(V) «Uno sguardo a più voci sul mondo. Uno sguardo che nasce da solo ma che è bello poter coltivare attraverso momenti di condivisione e di creazione: è sapere che ci sono molti modi di essere e di pensare e che spesso sono molto vicini tra loro».
(A) «Per me quando si parla di intercultura si parla di interscambio, di interazione tra due culture diverse, di contatto e influenza reciproca. Io credo di essere “intercultura”, di viverla ogni giorno e di farla, non solo per lavoro! Vivo alla “casa dello studente” con altre tre ragazze: una cilena, una tedesca e una di Loano. Quando alla sera si mangia insieme e la cilena ci fa assaggiare il Pai de limon: per me questa è “intercultura”».

In cosa consiste il lavoro che svolgete ogni giorno?
(V) «Cerco di creare occasioni perché ragazzi e adulti provenienti da culture diverse si incontrino e facciano qualcosa insieme».
(A) «Io sono una mediatrice culturale. Non esiste ancora molta chiarezza su chi sia veramente il mediatore linguistico culturale. Spesso viene identificato come mero interprete. In realtà la sua funzione va oltre la semplice traduzione/interpretazione da una lingua all’altra: esercita la funzione di orientamento culturale atta a facilitare l’inserimento dei cittadini stranieri nel contesto sociale italiano, facendo da tramite tra i bisogni dei migranti e le risposte offerte dai servizi pubblici. Il mediatore opera, quindi, nel punto d’incontro fra le due culture».

Vilma, tu che vivi ogni giorno il problema dell’integrazione, avendo studenti di diverse nazionalità, quale pensi sia il significato di “integrazione”?
(V) «Armonia. Prima di tutto dentro di sé, tra tutte le proprie istanze, spesso sconosciute. Armonia tra se stessi e i mille altri che ci si affollano intorno. Più che nel significato di “integrarsi” lo penso nel suo valore psicologico di “integrare”».

La cultura può essere un mezzo per migliorare i rapporti di comunicazione tra persone diverse?
(V) «Direi di sì, soprattutto se pensiamo alla cultura nel suo aspetto di laboratorio, di costruzione e condivisione, di scambio e crescita».

Alketa come vivi il rapporto con la cultura genovese?
(A) «Sono tre anni che vivo a Genova. Purtroppo conosco ancora troppo poco la città. So che mi sono innamorata del suo carisma. Trovo Genova una città intrigante ed affascinante, sempre capace di stupirti con le sue diverse anime; anime raccolte nei secoli, attraverso il percorso della storia che si può vivere ogni giorno nei suoi vicoli. Si può respirare il profumo della focaccia, del pesto, ma anche del kebab o del sushi».

Hai avuto difficoltà a gestire i rapporti?
(A) «A dire il vero i primi tempi si. Addirittura ho avuto difficoltà a rendere nota la mia provenienza: l’Albania. Condizionava il tipo di rapporto. Oggi le cose stanno cambiando grazie anche all’impegno di tante persone che lavorano “dietro le quinte” per migliorare i rapporti tra autoctoni ed immigrati o tra immigrati di diversa provenienza. Io ho imparato a mettermi sempre in gioco, ridimensionare la mia natura, mantenendo comunque intatta la mia identità».

Integrazione: quale via per renderla efficace e per migliorare i rapporti interpersonali?
(A) «Credo che il primo passo verso una vera integrazione sia promuovere le culture di provenienza. Ciò potrebbe stimolare la popolazione immigrata ad esibire e manifestare apertamente la propria cultura e la propria lingua.
L’interscambio, la comunicazione e il rispetto reciproco sono le uniche variabili da cui può partire una vera integrazione. Io credo che rispettando i tempi necessari per l’inserimento, la convivenza e l’integrazione si possono ottenere dei buoni livelli di interscambio. Tra l’altro stiamo assistendo ad una trasformazione dell’immigrazione, si sta passando dalla prima immigrazione, alla immigrazione di seconda generazione. E questo è indice sicuramente di un cambiamento che porterà ad un miglioramento nei rapporti tra le diverse culture. I giovani crescono in un ambiente in cui imparano a conoscere “il diverso”: un diverso che non avrà più connotazioni negative, ma sarà semplicemente il rappresentante di un’altra cultura».

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